Personaggi Michele, padrone del barcone (50 anni) — baritono Luigi, scaricatore (20 anni) — tenore Il “Tinca”, scaricatore (35 anni) — tenore Il “Talpa”, scaricatore (55 anni) — basso Giorgetta, moglie di Michele (25 anni) — soprano La Frugola, moglie del Talpa (50 anni) — mezzosoprano Un venditore di canzonette — tenore Scaricatori, Midinettes — coro Due amanti — soprano, tenore Un suonatore d'organetto. Un angolo della Senna, dove è ancorato il barcone di Michele. La barca è congiunta al molo con una passerella. Nel fondo il profilo della vecchia Parigi e la mole maestosa di Notre-Dame staccano sul cielo rosso. Sempre nel fondo, a destra, sono i caseggiati che fiancheggiano il lungo-Senna e alti platani lussureggianti. Il barcone ha tutto il carattere delle consuete imbarcazioni che navigano la Senna. Il timone campeggia in alto della cabina. E la cabina è tutta linda e ben dipinta con le sue finestrette verdi, il fumaiolo e il tetto piano, a mo’ d’altana, sul quale sono alcuni vasi di geranii. Su una corda sono distesi i panni ad asciugare. Sulla porta della cabina, la gabbia dei canarini. È il tramonto. Sulla sponda sta un carro con un cavallo, sacchi di cemento vi sono accatastati; gli scaricatori salgono dalla stiva col loro sacco pesante sulle spalle e lo portano sul carro. Michele colla pipa spenta, è immobile presso il timone guardando il sole che tramonta. Giorgetta è intenta a diverse faccende; ritira alcuni panni stesi ad asciugare; cava un secchio d’acqua dal fiume e innaffia i suoi fiori; ripulisce la gabbia dei canarini. Suoni di sirena di rimor - chiatore e cornetta d’automobile. GIORGETTA O Michele? Michele? Non sei stanco d’abbacinarti al sole che tramonta? Ti sembra un gran spettacolo? MICHELE Sicuro! GIORGETTA Lo vedo bene: dalla tua pipa il fumo bianco non sbuffa più. MICHELE (accennando agli scaricatori) Han finito laggiù? GIORGETTA Vuoi che discenda? MICHELE No. Resta. Andrò io stesso. GIORGETTA Han lavorato tanto! Come avean promesso, la stiva sarà sgombra, e per doman si potrà caricare. SCARICATORI Oh! Issa! Oh! GIORGETTA Bisognerebbe compensare questa loro fatica; un buon bicchiere! MICHELE Ma certo. Pensi a tutto, cuore d’oro! SCARICATORI Oh! Issa! oh! Un giro ancor! Se lavoriam senza ardore si resterà ad ormeggiare e Margot con altri ne andrà. MICHELE Porta loro da bere. GIORGETTA Sono alla fine, prenderanno forza. MICHELE Il mio vinello smorza la sete e li ristora. SCARICATORI Oh! Issa! oh! Un giro ancor! Non ti stancar, battelliere; dopo potrai riposare, e Margot felice sarà. MICHELE (avvicinandosi a Giorgetta affettuosamente) E a me non hai pensato? GIORGETTA (scostandosi un poco) A te? Che cosa? MICHELE (cingendola con un braccio) Al vino ho rinunciato; ma, se la pipa è spenta, non è spento il mio ardore. SCARICATORI Oh! Issa! oh! Un giro ancor! Ora la stiva è vuotata, chiusa è la lunga giornata e Margot amor ti darà. MICHELE Un tuo bacio, o mio amore... (La bacia: Giorgetta gli porge la guancia e non la bocca. Michele s’avvia verso la stiva e vi discende.) LUIGI (passando dalla banchina sul barcone) Si soffoca, padrona! GIORGETTA Lo pensavo. Ho quel che ci vuole. Sentirete che vino! (Entra nella cabina.) IL TINCA (uscendo dalla stiva col carico sulle spalle) Saoohi dannati! mondo birbone! Spicciati, Talpa! Si va a mangiare! IL TALPA (salendo dalla stiva col carico sulle spalle) Non aver fretta! non mi seccare! Ah! questo sacco spacca il groppone! (scotendo la testa e tergendosi il sudore col rovescio della mano) Dio! che caldo! O Luigi, ancora una passata. LUIGI Eccola la passata! Ragazzi, si beve! Qui, tutti insiem, lesti! Lesti! Pronti! Nel vino troverem l’energia per finir! (Tutti attorniano Giorgetta che distribuisce i bicchieri.) GIORGETTA Come parla difficile! Ma certo, vino alla compagnia! Qua, Talpa! Al Tinca! A voi, prendete! IL TALPA Alla salute vostra il vino si beva! S’alzi il bicchieri Bevo! Viva! Tanta felicità per la gioia che dà! GIORGETTA Se ne volete ancor. IL TALPA Non si rifiuta mai! (Giorgetta mesce di nuovo al Talpa.) GIORGETTA (agli altri) Avanti coi bicchieri! LUIGI (indicando un suonatore di organetto che passa sulla banchina) Guarda là l’organetto. È arrivato in buon punto. IL TINCA In questo vino affogo i tristi pensieri. Bevo al padron! Viva! (a Giorgetta che mesce ancora) Grazie, grazie. L’unico mio piacer sta qui in fondo al bicchier. LUIGI (al suonatore) Ei, là! Professore! Vien qua. (agli amici) Sentirete che artista. GIORGETTA (a Luigi) IO capisco una musica sola: Quella che fa ballare. IL TINCA (si fa avanti) Ma sicuro! Ai suoi ordini sempre, e gamba buona. GIORGETTA To’! Io ti prendo in parola. IL TINCA Ballo con la padrona! (Il Tinca e Giorgetta ballano. Luigi e il Talpa si tappano le orecchie alle stonature dell'organetto. Il Tinca non riesce a prendere il passo d'accordo con Giorgetta.) LUIGI La musica e la danza van d’accordo! (al Tinca) Sembra che tu pulisca il pavimento. GIORGETTA Ahi! m’hai pestato un piede! LUIGI (allontanando il Tinca con una spinta e sostituendolo) Va, lascia, son qua io. (Luigi balla con Giorgetta; questa si abbandona languidamente fra le braccia di Luigi.) IL TALPA Ragazzi, c’è il padrone. (Michele appare dalla stiva. I due smettono di ballare; Luigi fa cenno di smettere al suonatore e gli dà una moneta. Il suonatore se ne va. Luigi e gli altri scaricatori scendono nella stiva, mentre Michele si avvicina a Giorgetta. Lei si dà una ravviata ai capelli.) GIORGETTA (a Michele) Dunque, che cosa credi? Partiremo la settimana prossima? MICHELE Vedremo. GIORGETTA Il Talpa e il Tinca restano? MICHELE Resterà anche Luigi. GIORGETTA Ieri non lo pensavi. MICHELE Ed oggi, penso. GIORGETTA Perché? UN VENDITORE DI CANZONETTE Chi vuol l’ultima canzonetta? MICHELE Perché non voglio ch’egli crepi di fame. GIORGETTA Quello s’arrangia sempre. MICHELE Lo so, s’arrangia, è vero... IL VENDITORE DI CANZONETTE Chi la vuole? MICHELE ...ed è per questo che non conclude nulla. GIORGETTA Con te non si sa mai chi fa male o fa bene. IL VENDITORE DI CANZONETTE Chi la vuole? MICHELE Chi lavora si tiene. (Si ode una sirena lontana di rimorchiatore.) GIORGETTA Già discende la sera. Oh che rosso tramonto di settembre, che brivido d’autunno! Non sembra un grosso arancio questo sole che muore nella Senna? Guarda laggiù la Frugola! IL VENDITORE DI CANZONETTE Chi la vuole, con musica e parole? GIORGETTA La vedi? Cerca di suo marito e non lo lascia. MICHELE È giusto, beve troppo. GIORGETTA Non lo sai che è gelosa? (scrutando Michele) O mio uomo, non sei di buon umore. Che hai? Che guardi? E perché taci? IL VENDITORE DI CANZONETTE Chi la vuole l’ultima canzonetta? (Il venditore di canzonette appare sulla strada al di là della Senna, seguito da un uomo che porta una piccola arpa ad armacollo. Alcune Midinettes, che escono da una casa di mode, Io attorniano.) MIDINETTES Bene, bene! Sì, sì! (L’arpista si siede su un piccolo sgabello portatile e si accinge a suonare.) MICHELE T’ho mal fatto scenate? GIORGETTA Lo so bene: tu non ml batti. IL VENDITORE DI CANZONETTE Primavera, primavera, non cercare più i due amanti... MICHELE Che? lo vorresti? GIORGETTA Ai silenzi talvolta, SÌ, preferirei lividi di percosse! IL VENDITORE DI CANZONETTE ...là fra l’ombre della sera. (Michele, senza rispondere, risale il barcone, e si mette a fissar meglio una corda d’amarra.) Primavera, primavera! Chi ha vissuto per amore, per amore si morì. È la storia di Mimi. (Le ragazze comprano la canzonetta.) GIORGETTA (che ha seguito Michele) Dimmi almeno che hai. MICHELE Nulla, nulla. IL VENDITORE DI CANZONETTE Chi aspettando sa che muore conta ad ore le giornate con i battiti del cuore... GIORGETTA Quando siamo a Parigi io mi sento felice. MICHELE Si capisce. GIORGETTA Perché? IL VENDITORE DI CANZONETTE ...conta ad ore le giornate. Ma l’amante non tornò, e i suoi battiti finì anche il cuore di Mimi. (Il venditore di canzonette s'allontana seguito dall’arpista; le ragazze, leggendo sui foglietti comperati, sciamano, ripetendo l’ultima strofa della canzonetta.) MIDINETTES Conta ad ore le giornate, ma l’amante non tornò, e i suoni battiti finì, larà, larà, larà, anche il cuore di Mimi. (La Frugola è apparsa sulla banchina, attraversa la passerella e sale sul barcone. Ha sulle spalle una vecchia sacca gonfia di ogni sorta di roba raccattata.) LA FRUGOLA O eterni innamorati, buona sera! GIORGETTA Oh, buona sera, Frugola. (Michele, dopo di aver salutato con un gesto la Frugola si allontana ed entra nella cabina.) LA FRUGOLA Il mio uomo ha finito il lavoro? Stamattina non ne poteva più dal mal di reni. Faceva proprio pena. Ma l’ho curato io: una buona frizione, e il mio rum l’ha bevuto la sua schiena! (Getta a terra la sacca e vi fruga dentro, cavandone vari oggetti.) Ah, Giorgetta, guarda; un pettine fiammante! Se lo vuoi, te lo dono. È quanto del più buono ho raccolto in giornata. GIORGETTA (prendendo il pettine) Hanno ragione di chiamarti Frugola; tu rovisti ogni angolo ed hai la sacca piena. LA FRUGOLA Se tu sapessi gli oggetti strani che in questa sacca sono racchiusi! Guarda, guarda! È per te questo ciuffo di piume. Trine e velluti, stracci, barattoli. Vi son confusi gli oggetti strani. Strane reliquie, i documenti di mille amori. Gioie e tormenti quivi raccolgo senza distinguere fra i ricchi e il volgo. GIORGETTA E in quel cartoccio? LA FRUGOLA Cuore di manzo per Caporale, il mio soriano dal pelo fulvo, dall’occhio strano che non ha uguale. GIORGETTA Gode dei privilegi il tuo soriano. LA FRUGOLA Li meritai Vedessi! È il più bel gatto, il mio più bel romanzo. Quando il mio Talpa è fuori, mi tiene compagnia, ed insieme noi filiamo, noi filiam i nostri amori senza puntigli e senza gelosia. Vuoi saperla la sua filosofia? Ron, ron, ron: meglio padron in una catapecchia che servo in un palazzo. Ron, ron, ron, ron, ron: meglio cibarsi con due fette di cuore che logorare il proprio nell’amor. IL TALPA (salendo dalla stiva, seguito da Luigi) To’! guarda la mia vecchia! Che narravi? LA FRUGOLA Parlavo con Giorgetta del soriano. (Si ode una tromba d’automobile, lontana.) MICHELE (uscendo dalla cabina) O Luigi, domani si carica del ferro. Viene a darci una mano? LUIGI Verrò, padrone. (Il Tinca viene dalla stiva, seguito dagli altri scaricatori che se ne vanno per la banchina dopo di avere salutato Michele.) IL TINCA Buona notte a tutti. IL TALPA (al Tinca) Hai tanta fretta? LA FRUGOLA Corri ad ubriacarti? Ah, se fossi tua moglie! IL TINCA Che fareste? LA FRUGOLA Ti pesterei finché non la smettessi di passar le notti all’osteria. Non ti vergogni? IL TINCA No, no, no! Fa bene il vino! Si affogano i pensieri di rivolta: che se bevo non penso, e se penso non rido. Ah! ah! ah! ah! (S’incammina sghignazzando, mentre Michele discende nella stiva.) LUIGI (fermando il Tinca) Hai ben ragione; meglio non pensare, piegare il capo ed incurvar la schiena. Per noi la vita non ha più valore, ed ogni gioia si converta in pena. I sacchi in groppa e giù la testa a terra! Se guardi in alto, bada alla frustata. Il pane lo guadagni col sudore, e l’ora dell’amore va rubata. Va rubata fra spasimi e paure, che offuscano l’ebbrezza più divina. Tutto è conteso, tutto ci è rapito, la giornata è già buia alla mattina. Hai ben ragione; meglio non pensare, piegare il capo ed incurvar la schiena! IL TINCA Segui il mio esempio: bevi! GIORGETTA Basta! IL TINCA Non parlo più. A domani, ragazzi, e state bene! (S’incammina e scompare per la banchina.) IL TALPA (alla Frugola) Ce n’andiamo anche noi? Son stanco morto. LA FRUGOLA Ah, quando mai potremo comprarci una bicocca? Là ci risposeremo. GIORGETTA È la tua fissazione, la campagna. LA FRUGOLA Ho sognato una casetta con un piccolo orticello. Quattro muri, stretta stretta, e due pini per ombrello. Il mio vecchio steso al sole, ai miei piedi Caporale e aspettar così la morte che è rimedio d’ogni male. GIORGETTA È ben altro il mio sogno! Son nata nel sobborgo, e solo l’aria di Parigi m’esalta, m’esalta e mi nutrisce. Ah! se Michele un giorno abbandonasse questa logora vita vagabonda! Non si vive là dentro, fra il letto ed il fornello. TU avessi visto la mia stanza, un tempo! LA FRUGOLA Dove abitavi? GIORGETTA Non lo sai? LUIGI Belleville! GIORGETTA Luigi lo conosce. LUIGI Anch’io ci son nato. GIORGETTA Come me, come me l’ha nel sangue. LUIGI Non ci si può staccare. GIORGETTA Bisogna aver provato. Belleville è il nostro suolo, è il nostro mondo. Noi non possiamo vivere sull’acqua. Bisogna calpestare il marciapiede. Là c’è una casa, là ci sono amici, festosi incontri e piene confidenze. LUIGI Ci si conosce tutti. S’è tutta una famiglia. GIORGETTA Al mattino, Il lavoro che ci aspetta. Alla sera, i ritorni in comitiva. Botteghe che s’accendono di luci e di lusinghe, vetture che s’incrociano, domeniche chiassose. Piccole gite in due al bosco di Boulogne. Balli all’aperto, l’intimità amorose. È difficile dire cosa sia quest’ansia, questa strana nostalgia. GIORGETTA, LUIGI Ma chi lascia il sobborgo vuol tornare, e chi ritorna, chi ritorna non si può staccare. C’è là in fondo Parigi che ci grida con mille voci liete il suo fascino immortal. LA FRUGOLA Adesso ti capisco; qui la vita è diverso. IL TALPA Se s’andasse a mangiare? (a Luigi) Che ne dici? LUIGI Io resto, ho da parlare col padrone. IL TALPA Quand’è così, a domani. LA FRUGOLA Miei vecchi, buona notte. (S’avvia col Talpa a braccetto.) LA FRUGOLA, IL TALPA HO sognato una casetta con un piccolo orticello. Quattro muri, stretta stretta e due pini per ombrello. Il mio vecchio steso al sole, ai miei piedi Caporale, e aspettar così la morte che è rimedio d’ogni male. (Si odono cantare voci lontani.) GIORGETTA O Luigi! Luigi! (Luigi s’avvicina a Giorgetta che con un gesto lo ferma.) Bada a te, può salir fra un momento. Resta pur là, lontano. LUIGI Perché dunque Inasprisci Il tormento? Perché mi chiami invano? GIORGETTA Vibro tutta se penso a iersera, all’ardor dei tuoi baci! LUIGI In quei baci tu sai cosa c’era. GIORGETTA SÌ, mio amore, mio amore, ma taci. LUIGI Quale folle paura ti prende? GIORGETTA Se ci scopre, è la morte! LUIGI Preferisco morire, alla sorte che ti tiene legata! GIORGETTA Ah, se fossimo soli, lontani. LUIGI E sempre uniti. GIORGETTA E sempre innamorati. Dimmi che non mi manchi. LUIGI (facendo per correre a lei) Mai! GIORGETTA Sta attento! (Apparisce Michele dalla stiva.) MICHELE (a Luigi) Come? Non sei andato? LUIGI Padrone, v’ho aspettato perché volevo dirvi quattro parole sole; intanto ringraziarvi d’avermi tenuto. Poi volevo pregarvi se lo potete fare di portarmi a Rouen e là farmi sbarcare. MICHELE A Rouen? Ma sei matto? La non c’è che miseria, ti troveresti peggio. LUIGI Sta bene. Allora resto. (Michele s’avvia verso la cabina.) GIORGETTA (a Michele) Dove vai? MICHELE A preparare i lumi. LUIGI Buona notte, padrone. MICHELE Buona notte. (Entra nella cabina.) GIORGETTA Dimmi: perché gli hai chiesto di sbarcarti a Rouen? LUIGI Perché non posso dividerti con lui. GIORGETTA Hai ragione: è un tormento. Anch’io ne son presa, anch’io la sento ben più forte di te, questa catena. Hai ragione: è un tormento, è un’angoscia, una pena; ma quando tu mi prendi, è pur grande, è pur grande il compenso. LUIGI Par di rubar insieme qualche cosa alla vita. GIORGETTA La voluttà è più intensa! LUIGI È la gioia rapita fra spasimi e paure. GIORGETTA In una stretta ansiosa. LUIGI Fra grida soffocate, e baci senza fine. GIORGETTA E parole sommesse. LUIGI E baci senza fine. GIORGETTA Giuramenti e promesse... LUIGI ...d’esser soli noi. GIORGETTA Noi soli, via, via, lontani. LUIGI Noi tutti soli, lontani dal mondo. (sussultando) È lui? GIORGETTA No, non ancora. Dimmi che tornerai più tardi. LUIGI Sì, fra un’ora. GIORGETTA Ascolta: come ieri lascerò la passerella. Sono io che la tolgo. Hai le scarpe di corda? LUIGI Sì. Fai lo stesso segnale? GIORGETTA Sì, il fiammifero acceso. Come tremava sul braccio mio teso la piccola fiammella. Mi pareva d’accendere una stella, fiamma del nostro amore, stella senza tramonto. LUIGI IO voglio la tua bocca, voglio le tue carezze. GIORGETTA Dunque anche tu lo senti folle il desiderio. LUIGI Folle di gelosia! Vorrei tenerti stretta come una cosa mia. Vorrei non più soffrir, non più soffrir che un altro ti toccasse, e, per sottrarre a tutti il corpo tuo divino io te lo giuro, lo giuro non tremo a vibrare il coltello e con gocce di sangue fabbricarti un gioiello. (Luigi fugge rapidamente spinto da Giorgetta.) GIORGETTA Come è difficile esser felici! (Michele, recando i fanali accesi, viene dalla cabina.) MICHELE Perché non vai a letto? GIORGETTA E tu? MICHELE No, non ancora. GIORGETTA Penso che hai fatto bene a trattenerlo. MICHELE Chi mai? GIORGETTA Luigi. MICHELE Forse ho fatto male. Basteranno due uomini: non c’è molto lavoro. GIORGETTA Il Tinca lo potresti licenziare - beve sempre. MICHELE S’ubriaca per calmare i suoi dolori. Ha per moglie una bagascia! Beve per non ucciderla. (Giorgetta appare turbata e nervosa.) Che hai? GIORGETTA Son tutte queste storie che a me non interessano. MICHELE (avvicinandosi a Giorgetta con commozione) Perché, perché non m’ami più? Perché? GIORGETTA TU sbagli, t’amo. TU sei buono e onesto. Ora andiamo a dormire. MICHELE TU non dormi. GIORGETTA Lo sai perché non dormo. E poi là dentro soffoco. Non posso, non posso! MICHELE Ora le notti son tanto fresche. E l’anno scorso là in quel nero guscio eravamo pur tre, c’era il lettuccio del nostro bimbo. GIORGETTA Il nostro bimbo! Taci, taci! MICHELE TU sporgevi la mano e lo cullavi dolcemente, lentamente, poi sul braccio mio t’addormentavi. GIORGETTA Ti supplico, Michele, non dir niente. MICHELE Erano sere come queste. Se spirava la brezza, vi raccoglievo insieme nel tabarro come in una carezza. Sento sulle mie spalle le vostre teste bionde. Sento le vostre bocche vicino alla mia bocca. Ero tanto felice! ah, tanto felice! Ora che non c’è più i miei capelli grigi sembrano un insulto alla tua gioventù. GIORGETTA Ah, ti supplico, Michele, non dir niente. Ah, no! MICHELE Ah, mi sembrano un insulto alla tua gioventù. GIORGETTA No, calmati, Michele. Sono stanca, non reggo, vieni. MICHELE Ma non puoi dormire! Sai bene che non devi addormentarti. GIORGETTA Perché mi dici questo? MICHELE Non SO bene. Ma so che è molto tempo che non dormi. (Cerca di attirare Giorgetta vicino a sé.) Resta vicino a me. Non ti ricordi altre notti, altri cieli ed altre lune? Perché chiudi il tuo cuore? Ti rammenti le ore che volavan via su questa barca trascinate dall’onda? GIORGETTA Non ricordare. Oggi è malinconia. MICHELE Ah, ritorna, ritorna come allora, ritorna ancora mia, quando tu m’amavi, e ardentemente mi cercavi e mi baciavi. Quando tu m’amavi. Resta vicino a me! La notte è bella! GIORGETTA Che vuoi! S’invecchia! Non son più la stessa. Tu pure sei cambiato. Diffidi, ma che credi? MICHELE Non lo so nemmen io. (Da una chiesa lontana giungono i rintocchi delle ore.) GIORGETTA Buona notte, Michele. Casco dal sonno. MICHELE E allora va pure; ti raggiungo. (Giorgetta entra nella cabina.) Sgualdrina! (Michele dispone i fanali rosso, verde e bianco, ai posti fissati sul barcone. Nel mentre passano due ombre di amanti sulla strada.) TENORE Bocca di rosa fresca... SOPRANO E baci di rugiada... TENORE O labbra profumate... SOPRANO ...o profumata sera. C’è la luna... TENORE ...la luna che ci spia... SOPRANO ...a domani, mio amore! TENORE Domani, amante mia! SOPRANO A domani, mio amore! TENORE Domani, amante mia! (Una cornetta lontana suona il silenzio da una caserma. Lentamente, cautamente, Michele si avvicina alla cabina. Tende l’orecchio.) MICHELE Nulla!...Silenzio! (strisciando verso la parete e spiando nell’interno) È là. Non s’è spogliata, non dorme. Aspetta. Chi? Che cosa aspetta? Chi? Chi? Forse il mio sonno. Chi l’ha trasformata? Qual ombra maledetta è discesa fra noi? Chi l’ha insidiata? Il Talpa? - Troppo vecchio. Il Tinca forse? No, no, non pensa - beve. E dunque chi? Luigi? No, se proprio questa sera voleva abbandonarmi, e m’ha fatto preghiera di sbarcarlo a Rouen. Ma chi dunque? Chi dunque? Chi sarà? Squarciare le tenebre! Vedere! E serrarlo così, fra le mie mani! E gridargli: Sei tu! Sei tu! E gridargli: Sei tu! Sei tu! Il tuo volto livido sorrideva alla mia pena! Sei tu! Sei tu! Su! su! su! Dividi con me questa catena. Ravvolgimi con te nella tua sorte. Giù insiem nel gorgo più profondo. Dividi con me questa catena. Accomuna la tua con la mia sorte. La pace è nella morte! (S’accascia sfibrato. La notte è buia. Leva di tasca la pipa e l’accende. Dopo qualche momento Luigi, che stava in attesa del segnale sulla banchina, attraversa di corsa la passerella e balza sul barcone. Michele vede l’ombra, sussulta e si mette in gguato. Riconosce Luigi, di colpo si precipita e lo afferra alla gola.) T’ho colto! LUIGI Sangue di Dio! Son preso! MICHELE Non gridare! Che venivi a cercare? Volevi la tua amante? LUIGI Non è vero! MICHELE Mentisci! Confessa, confessa! LUIGI Non è vero! MICHELE Volevi la tua amante? LUIGI (tirando fuori il coltello) Ah, perdio! MICHELE (afferrando il braccio di Luigi e forzandolo a lasciare il coltello) Giù il coltello! Non mi sfuggi, canaglia! Anima di forzato! Verme! Volevi andare giù, a Rouen, non è vero? Morto ci andrai, nel fiume. LUIGI Assassino, assassino! MICHELE Confessami che l’ami. Confessa, confessa! LUIGI Lascia, lascia, lasciami! MICHELE No, infame, infami! Se confessi, ti lascio. LUIGI SI. MICHELE Ripeti, ripeti! LUIGI SÌ, l’amo. MICHELE Ripeti, ripeti! LUIGI L’amo. MICHELE Ripeti! LUIGI L’amo. MICHELE Ancora. LUIGI L’amo. Ah! (Luigi resta aggrappato a Michele in una suprema contorsione di morte.) GIORGETTA (dalla cabina) Michele! Michele! (Apre la porta della cabina.) Ho paura, Michele. (Sentendo la voce di Giorgetta, Michele rapidamente ravvolge nel tabarro il cadavere di Luigi aggrappato a lui, e si siede. Giorgetta s’avvicina lentamente a Michele, guardando intorno con ansia.) MICHELE Avevo ben ragione; non dovevi dormire. GIORGETTA Son presa dal rimorso d’averti dato pena. MICHELE Non è nulla, i tuoi nervi. GIORGETTA Ecco, è questo, hai ragione. Dimmi che mi perdoni. Non mi vuoi più vicina? MICHELE Dove? Nel mio tabarro? GIORGETTA Sì, vicina, vicina, SÌ. Mi dicevi un tempo: “Tutti quanti portiamo un tabarro che asconde qualche volta una gioia, qualche volta un dolore.” MICHELE Qualche volta un delitto. Vieni nel mio tabarro! Vieni! Vien! GIORGETTA (Michele si erge terribile: apre il tabarro, il cadavere di Luigi rotola ai piedi di Giorgetta: afferra Giorgetta, la trascina e la piega contro il volto dell’amante morto.) Ah! Fine dell’Opera Libretto di Giuseppi Adami Personaggi Suor Angelica — soprano La zia principessa — contralto La badessa — mezzo-soprano La suora zelatrice — mezzo-soprano La maestra delle novizie — mezzo-soprano Sour Genovieffa — soprano Suor Osmina — soprano Suor Dolcina — soprano La suora infermiera — mezzo-soprano Le cercatrici — soprani, coro Le novizie — soprani, coro Le converse — soprano e mezzosoprano, coro L'azione si svolge in un monastero sul finire del 1600. L'interno di un monastero. La chiesetta e il chiostro. Nel fondo, oltre gli archi di destra, il cimitero; oltre gli archi di sinistra, l'orto. Nel mezzo della scena, cipressi, una croce, erbe e fiori. Nel fondo a sinistra, fra piante di acoro, una fonte il cui getto ricadrà in una pila in terra. Tramonto di primavera. Un raggio di sole batte al disopra del getto della fonte. La scena è vuota. Le suore sono in chiesa e cantano. CORO (di dentro) Ave Maria, piena di grazia, il Signore è teco. (Due converse, in ritardo, traversano la scena; si soffermano un istante ad ascoltare un cinguettìo che scende dai cipressi, quindi entrano in chiesa.) Tu sei benedetta fra le donne; benedetto il frutto del ventre tuo, Gesù. (Suor Angelica, anch'essa in ritardo, esce da destra, si avvia in chiesa, apre la porta, fa l'atto di contrizione delle ritardatarie che le converse non hanno fatto: si inginocchia e bacia la terra, quindi richiude la porta.) Santa Maria, prega per noi peccatori. SUOR ANGELICA (di dentro) Prega per noi peccatori, ora e nell’ora della nostra morte. CORO Prega per noi peccatori, ora e nell’ora della nostra morte. E così sia. (Le suore escono dalla chiesa a due per due. La badessa si sofferma davanti alla croce. Le suore, passandole innanzi, le fanno atto di reverenza. La badessa fa il gesto della benedizione e, quando tutte le suore le sono passate davanti, si ritira. Le suore non si sciolgono ancora, restano unite, ormando una specie di semicerchio a piccoli gruppi. La suora zelatrice viene nel mezzo.) LA SUORA ZELATRICE (alle due converse) Sorelle in umiltà, mancaste alla quindena, ed anche Suor Angelica, che però fece contrizione piena. Invece voi, sorelle, peccaste in distrazione, e avete perso un giorno di quindena! UNA CONVERSA M’accuso della colpa e Invoco una gran pena, e più grave sarà, e più grazie vi dirò, sorella in umiltà, (Resta in attesa della penitenza.) LA MAESTRA DELLE NOVIZIE (alle novizie, come spiegando) Chi arriva tardi in coro, si prostri e baci terra, LA SUORA ZELATRICE (alle converse) Farete venti volte la preghiera mentale per gli afflitti e gli schiavi e per quelli che stanno in peccato mortale, UNA CONVERSA Con gioia e con fervore! LE DUE CONVERSE Cristo Signore, Sposo d’Amore, io voglio sol piacerti, Sposo d’Amor, ora e nell’ora della mia morte, Amen. (Si ritirano, compunte, sotto gli archi di destra.) LA SUORA ZELATRICE (a Suor Lucilla, porgendole l'occorrente per filare) Suor Lucilla, al lavoro. Ritiratevi. E osservate il silenzio. (Suor Lucilla si ritira, filando.) LA MAESTRA DELLE NOVIZIE (alle due novizie) Perché stasera in coro ha riso e fatto ridere. LA SUORA ZELATRICE (a Suor Osmina) Voi, Suor Osmina, in chiesa tenevate nascoste nelle maniche due rose scarlattine. SUORE OSMINA Non è vero! LA SUORA ZELATRICE Sorella, entrate in cella. (Suor Osmina scuote le spalle.) Non tardate! La Vergine vi guarda! (Suor Osmina si avvia; tutti gli sguardi la seguono sotto gli archi finché non scompare nella sua cella.) SEI SUORE Regina virginum, ora pro ea. (Suor Osmina chiude bruscamente la porta della sua cella.) LA SUORA ZELATRICE Ed or, sorelle In gioia, poiché piace al Signore e per tornare più allegramente a faticare per amor Suo, ricreatevi! LE SUORE Amen! (Le figure bianche delle suore si sparpagliano per il chiostro e oltre gli archi. Suor Angelica zappetta la terra e innaffia le erbe ed i fiori.) SUOR GENOVIEFFA Oh sorelle, sorelle, io voglio rivelarvi che una spera di sole è entrata in clausura! Guardate dove batte, là, là fra la verzura! Il sole è sull’acoro! Comincian le tre sere della fontana d’oro. LE SUORE È vero, fra un’istante vedrem l’acqua dorata. UNA SUORA E per due sere ancora. LE SUORE È Maggio! È Maggio! È il bel sorriso di Nostra Signora che viene con quel raggio. Regina di Clemenza, grazie, grazie. UNA NOVIZIA Maestra, vi domando licenza di parlare. LA MAESTRA DELLE NOVIZIE Sempre per laudare le cose sante e belle. LA NOVIZIA Qual grazia della Vergine rallegra le sorelle? LA MAESTRA DELLE NOVIZIE Un segno risplendente della bontà di Dio! Per tre sere dell’anno solamente, all’uscire dal coro, Dio ci concede di vedere il sole che batte sulla fonte e la fa d’oro. LA NOVIZIA E l’altre sere? LA MAESTRA DELLE NOVIZIE O usciamo troppo presto e il sole è alto, o troppo tardi e il sole è tramontato. LE SUORE Un altr’anno è passatoi È passato un altr’anno! E una sorella manca. (Un silenzio doloroso è nel chiostro; le suore assorte in un atteggiamento di muta preghiera sembrano rievocare l'immagine della sorella che non è più.) SUOR GENOVIEFFA O sorelle in pio lavoro, quando il getto s’è infiorato, quando il getto s’è indorato, non sarebbe ben portato un secchiello d’acqua d’oro sulla tomba a Bianca Rosa? LE SUORE SÌ, la suora che riposa lo desidera di certo. SUOR ANGELICA I desideri sono i fiori dei vivi, non fioriscon nel regno delle morte, perché la Madre Vergine soccorre e in Sua benignità liberamente al desiar precorre; prima che un desiderio sia fiorito la Madre delle Madri l’ha esaudito. O sorella, la morte è vita bella! LA SUORA ZELATRICE Noi non possiamo nemmen da vive avere desideri. SUOR GENOVIEFFA Se son leggeri e candidi, perché? Voi non avete un desiderio? LA SUORA ZELATRICE Io no! UNA SUORA Ed io nemmeno! UN’ALTRA SUORA lo no! UNA NOVIZIA lo no! SUOR GENOVIEFFA lo sì, lo confesso. (volgendo lo sguardo in alto) Soave Signor mio, tu sai che prima d’ora nel mondo ero pastora. Da cinqu’anni non vedo un agnellino; Signore, ti rincresce se dico che desidero vederne uno piccino, poterlo carezzare, toccargli il muso fresco e sentirlo belare? Se è colpa, t’offerisco il Miserere mei. Perdonami, Signore, Tu che sei l’Agnus Dei. SUOR DOLCINA Ho un desiderio anch’io! LE SUORE Sorella, li sappiamo i vostri desideri! Qualche boccone buono! Della frutta gustosa! La gola è colpa grave! È golosa! È golosa! (Suor Dolcina resta mortificata ed interdetta.) SUOR GENOVIEFFA (che si è avvicinata in compagnia di alcune suore a Suor Angelica) Suor Angelica, e voi? Avete desideri? SUOR ANGELICA (volgendosi verso il gruppo) Io! No, sorella, no. (Suor Angelica si volge ancora ai fiori. Le suore fanno gruppo dalla parte opposta e mormorano.) LE SUORE Che Gesù la perdoni, ha detto una bugìa! Ha detto una bugìa! UNA NOVIZIA Perché? LE SUORE Noi lo sappiamo, ha un grande desiderio! Vorrebbe aver notizie della famiglia sua. Son più di sett’anni da quando è in monasterio, non ha avuto più nuove. E sembra rassegnata, ma è tanto tormentata. (allontanandosi sempre più da Suor Angelica) Nel mondo era ricchissima, lo disse la badessa. Era nobile! Nobile! Nobile! Principessa! La vollero far monaca sembra per punizione. Perché? Perché? Chi sa? Ma!? Ma!? (Si disperdono qua e là.) LA SUORA INFERMIERA (accorrendo frettolosa) Suor Angelica, sentite! SUOR ANGELICA O sorella Infermiera, che cosa accadde, dite! LA SUORA INFERMIERA Suora Chiara là nell’orto assettava la spalliera delle rose; all’Improvviso, tante vespe sono uscite, l’han pinzata qui nel viso! Ora è in cella e si lamenta. Ah! calmatele, sorella, il dolor che la tormenta. LE SUORE Poveretta! Poveretta! SUOR ANGELICA Aspettate, ho un’erba e un fiore. (Corre cercando fra le erbe e i fiori.) LA SUORA INFERMIERA Suor Angelica ha sempre una ricetta buona, fatta coi fiori; sa trovar sempre un’erba benedetta per calmare i dolori. SUOR ANGELICA (alla suora infermiera, porgendole un'erba) Ecco, quest’è calenzola; col latticelo che ne cola le bagnate l’inflaglone; (dandole un'altra erba) e con questa una pozione. Dite a Sorella Chiara che sarà molto amara, me che le farà bene. E le direte ancor che punture di vespe sono piccole pene, e che non si lamenti, che a lamentarsi crescono i tormenti. LA SUORA INFERMIERA Le saprò riferire. Grazie, sorella, grazie. SUOR ANGELICA Son qui per servire. (Dal fondo a sinistra entrano due suore cercatrici conducendo un ciuchino carico di roba.) SUORE CERCATRICI Laudata Maria! LE SUORE E sempre sia! (Le suore attorniano il ciuchino, mentre le suore cercatrici scaricano e consegnano le limosine alla suora dispensiera.) SUORE CERCATRICI Buona cerea stasera, sorella dispensiera! PRIMA SUORA CERCATRICE Un otre d’olio. SUOR DOLCINA Uhi buono! SECONDA SUORA CERCATRICE Nocciole, sei collane. PRIMA SUORA CERCATRICE Un panierin di noci. SUOR DOLCINA Buone con sale e panei LA SUORA ZELATRICE (riprendendola) Sorella! PRIMA SUORA CERCATRICE Qui farinai E qui un cacciotella che suda ancora latte, buona come una pasta; e un sacchetto di lenti, dell’uova, burro e basta. LE SUORE Buona cerca stasera, sorella dispensiera! (La seconda suora cercatrice porta via il ciuchino.) PRIMA SUORA CERCATRICE (a Suor Dolcina) Per VOI, sorella ghiotta... SUOR DOLCINA Un tralcetto di ribes! Degnatene, sorelle! LE SUORE Grazie! Grazie! UNA SUORA Uh! Se ne prendo un chicco, la martorio! SUOR DOLCINA NO, prendete! LE SUORE Grazie! Grazie! (Formano un gruppetto a destra e beccano il ribes fra risatine discrete.) PRIMA CERCATRICE Chi è venuto stasera in parlatorio? LE SUORE Nessuno. Nessuno. Perché? PRIMA SUORA CERCATRICE Fuor del portone c’è fermata una ricca berlina. SUOR ANGELICA (volgendosi alla sorella cercatrice, come assalita da un’improvvisa inquietudine) Come, sorella, avete detto? Una berlina è fuori? Ricca? ricca? ricca? PRIMA SUORA CERCATRICE Da gran signori. Certo aspetta qualcuno che è entrato nel convento, e forse fra un momento suonerà la campana a parlatorio. SUOR ANGELICA Ah, ditemi, sorella, com’era la berlina? Non aveva uno stemma, uno stemma d’avorio? E dentro tappezzata d’una seta turchina ricamata in argento? PRIMA SUORA CERCATRICE lo non so, sorella, non lo so; ho veduto soltanto una berlina, bella! LE SUORE (osservando curiosamente Suor Angelica) È diventata bianca. Ora è tutta vermigliai Poverina! È commossa! È commossa! Poverina! Spera che sian persone di famiglia! (Suona una campanella. Le suore accorrono da ogni parte.) Vien gente in parlatorio! Una visita viene! Per chi? Per chi? Per chi? Per chi sarà? UNA SUORA Fosse per me! Fosse la mia cugina che porta il seme di lavanda buono. UN’ALTRA SUORA Per me! Fosse mia madre che ci porta le tortorine bianche. (Suor Genovieffa si avvicina alle compagne, indicando con un gesto pietoso Suor Angelica.) SUOR ANGELICA (volgendo gli occhi al cielo) O madre eletta, leggimi nel cuore. Volgi per me un sorriso al Salvatore. SUOR GENOVIEFFA (a Suor Angelica) O sorella In amore, noi preghIam la Stella delle Stelle che la visita adesso sia per voi. SUOR ANGELICA Buona sorella, grazie, grazie. (Entra la badessa.) LA BADESSA Suor Angelica! (La badessa fa cenno alle suore che si ritirino; queste si avviano, scorgono che la fontana si è fatta d’oro, prendono un secchiolino d’acqua, si dirigono verso il cimitero e scompaiono.) SUOR ANGELICA Madre, Madre, parlate! Chi è? Chi è? Madre, parlate! Son sett’anni che aspetto, che aspetto una parola, uno scritto. Tutto ho offerto alla Vergine in piena espiazione. LA BADESSA Offritele anche l’ansia che adesso vi scompone. (Suor Angelica, affranta, si curva lentamente in ginocchio e si raccoglie.) LE SUORE (dal cimitero) Requiem aeternam dona eis, Domine: et lux perpetua lueeat eis. Requieseat in pace. Amen. Amen. SUOR ANGELICA Madre, sono serena sottomessa. LA BADESSA È venuta a trovarvi vostra zia Principessa. SUOR ANGELICA Ah! LA BADESSA In parlatorio si dica quanto vuole ubbidienza, necessità. Ogni parola è udita dalla Vergine Pia. SUOR ANGELICA La Vergine m’ascolti e così sia. (La badessa si incammina verso la porticina del parlatorio. Suor Angelica si rialza e si avvia verso gli archi del parlatorio. La porticina viene aperta in dentro dalla suora clavaria che rimarrà a fianco della porta aperta. Siamo adesso nel parlatorio. Passa davanti alla badessa e la suora clavaria una figura nera severamente composta in un naturale atteggiamento di grande dignità aristocratica; è la zia Principessa. Entra, cammina lentamente appoggiandosi a un bastoncino d’ebano. Si sofferma; getta per un attimo lo sguardo sulla nipote, freddamente e senza tradire nessuna emozione. Suor Angelica alla vista della zia è presa da grande emozione, ma si frena, perché si scorgono ancora nell’ombra la badessa e la suora clavaria. La porticina si richiude sulle due suore. Suor Angelica, commossa, quasi vacillante, va incontro alla zia, ma la vecchia protende la sinistra come per consentire soltanto all’atto sottomesso del baciamano. Suor Angelica prende la mano che le viene tesa, la porta alle labbra e, mentre la zia siede, ella cade in ginocchio. Suor Angelica non toglie mai lo sguardo dal volto della zia, uno sguardo pietoso, implorante. La vecchia invece, ostentatamente, guarda avanti a sé.) LA ZIA PRINCIPESSA Il Principe Gualtiero vostro padre, la Principessa Clara vostra madre, quando vent’anni or sono vennero a morte, (si interrompe per farsi il segno della croce) m’affidarono i figli e tutto il patrimonio di famiglia. Io dovevo dividerlo quando ciò ritenessi conveniente e con giustizia piena. E quanto ho fatto. Ecco la pergamena. Voi potete osservarla, discuterla, firmarla. SUOR ANGELICA Dopo sett’anni son davanti a voi. Ispiratevi a questo luogo santo. È luogo di clemenza, è luogo di pietà. LA ZIA PRINCIPESSA Di penitenza. IO debbo rivelarvi la ragione perché addivenni a questa divisione. Vostra sorella Anna Viola anderà sposa. SUOR ANGELICA Sposa?! Sposa la piccola Anna Viola? La sorellina, la piccina? Ah! ah! son sett’anni! Son passati sett’anni! Ah! ah! O sorellina bionda che vai sposa, O sorellina mia, tu sia felice! E chi la ingemma? LA ZIA PRINCIPESSA Chi per amore condonò la colpa di cui macchiaste il nostro bianco stemma. SUOR ANGELICA Sorella di mia madre, voi siete inesorabile! LA ZIA PRINCIPESSA Che dite? E che pensate? Inesorabile! Inesorabile! Vostra madre invocate quasi contro di me? Contro di me! Vostra madre invocate quasi contro di me? Di frequente, la sera, là, nel nostro oratorio, Io mi raccolgo. Nel silenzio di quei raccoglimenti, il mio spirito par che s’allontani e s’incontri con quel di vostra madre in colloqui eterei, arcani. Com’è penoso, com’è penoso udire i morti dolorare e piangere! Quando l’estasi mistica scompare per voi ho serbata una parola sola: Espiare! espiare! Offritela alla Vergine la mia giustizia. SUORA ANGELICA Tutto ho offerto alla Vergine, sì, tutto. Ma v’è un’offerta che non posso fare; alla Madre soave delle Madri, non posso offrire di scordar mio figlio! Mio figlio! Mio figlio, il figlio mio! Figlio mio! La creatura che mi fu, mi fu strappata! Figlio mio, che ho veduto e ho baciato una sol volta! Creatura mia! Creatura mia lontana! È questa la parola che invoco da sett’anni! Parlatemi di lui! Com’è, com’è mio figlio? Com’è dolce il suo volto? Come sono i sui occhi? Parlatemi di lui! Di mio figlio! Parlatemi di lui! (La vecchia tace.) Perché tacete? Perché, perché? Un altro istante di questo silenzio e vi dannate per l’eternità! La Vergine ci ascolta e Lei vi giudica! LA ZIA PRINCIPESSA Or son due anni venne colpito da fiero morbo. Tutto fu fatto per salvarlo. SUOR ANGELICA È morto? (La zia curva il capo e tace.) Ah! (Suor Angelica cade di schianto a terra. La zia si alza come per soccorrerla, credendola svenuta; ma, al singhiozzare di Suor Angelica, frena il suo movimento. Si volge verso un'immagine sacra che è al muro e con le due mani appoggiate al bastoncino, la testa curva, in silenzio prega. Nel parlatorio è già la semioscurità della sera. Entra la suora clavaria con una lucernina ad olio che pone sul tavolo. La zia si volge e parla sottovoce alla suora clavaria. La suora esce e ritorna colla badessa recando una tavoletta con un calamaio e una penna. Suor Angelica ode entrare le due suore, si volge, comprende, in silenzio si trascina verso il tavolo e firma la pergamena. Le due suore escono. La zia Principessa prende la pergamena, si avvicina a Suor Angelica, ma questa fa un leggero movimento per ritrarsi. Allora la zia procede verso la porta, batte col bastoncino. La suora clavaria apre, entra, prende il lume, va avanti; la Principessa la segue; di sulla soglia volge uno sguardo alla nipote; esce, scompare; la suora clavaria richiude la porta. La sera è calata; nel cimitero le suore vanno accendendo i lumini sulle tombe.) Senza mamma, O bimbo, tu sei morto. Le tue labbra senza i baci miei, scoloriron fredde, fredde, e chiudesti, O bimbo, gli occhi belli. Non potendo carezzarmi, le manine componesti in croce. E tu sei morto senza sapere quanto t’amava questa tua mamma. Ora che sei un angelo del cielo, ora tu puoi vederla, la tua mamma. Tu puoi scendere giù pel firmamento ed aleggiare intorno a me ti sento. Sei qui, sei qui, mi baci e m’accarezzi. Ah! dimmi quando in ciel potrò vederti? Quando potrò baciarti? Oh! dolce fine d’ogni mio dolore! Quando in cielo con te potrò salire? Quando potrò morire? Quando potrò morire, potrò morire? Dillo alla mamma, creatura bella con un leggero scintillar di stella. Parlami, parlami, amore, amore, amor! (Le suore escono dal cimitero e si avvicinano a Suor Angelica, attorniandola.) SUOR GENOVIEFFA Sorella, O buona sorella, la Vergine ha accolto la prece. LE SUORE Sarete contenta, sorella, la Vergine ha fatto la grazia. SUOR ANGELICA La grazia è discesa dal cielo, già tutto, già tutto s’accende, risplende, risplende. Già vedo, sorelle, la meta. LE SUORE E così sia. SUOR ANGELICA Sorelle, son lieta, son lieta! Cantiamo! Già in cielo si canta. Lodiamo la Vergine Santa! LE SUORE Cantiamo! Già in cielo si canta. E così sia. (Si ode dal fondo il segnale delle tavolette. Le suore si avviano verso le celle; ciascuna suora apre l’uscio della cella, entra e richiude.) Lodiamo la Vergine Santa! Lodiamo la Vergine Santa! SUOR ANGELICA Ah, lodiaml LE SUORE Amen. SUOR ANGELICA (dalla cella) La grazia è discesa dal cielo. (È notte. Si vedono le stelle sulla chiesetta, e la luna dà sui cipressi. Suor Angelica esce dalla cella; ha nelle mani una ciotola di terra cotta. Depone la ciotola, prende dei sassi e forma con essi un piccolo fornello; raccoglie sterpi e rami e ne fa un fastelletto che depone fra i sassi. Va verso la fonte e riempie d’acqua la ciotola, poi coll’acciarino accende il fuocherello e vi pone la ciotola a bollire. Va cercando fra le erbe e i fiori.) Suor Angelica ha sempre una ricetta buona fatta coi fiori. Amici fiori, che nel piccol seno racchiudete le stille del veleno, ah, quante cure v’ho prodigate. Ora mi compensate. Per voi, miei fior, io morirò. (Si volge verso le celle.) Addio, buone sorelle, addio, addio! Vi lascio per sempre. M’ha chiamata mio figlio. Dentro un raggio di stelle m’è apparso il suo sorriso, m’ha detto: Mamma, vieni in Paradiso! Addio! Addio! Addio, chiesetta! In te quant’ho pregato. Buona accoglievi preghiere e pianti. È discesa la grazia benedetta! Muoio per lui e in cielo lo rivedrò. Ah! (Abbraccia la croce, la bacia, si curva, prende la ciotola e beve il veleno; quindi si appoggia a un cipresso e lascia cadere a terra la ciotola. Le nubi coprono la luna; la scena è oscura. L’atto del suicidio la riconduce alla verità.) Ah, son dannata! Mi son data la morte, mi son data la morte! Io muoio, muoio in peccato mortale! (Si getta disperatamente in ginocchio.) O Madonna, Madonna, salvami, salvami. Per amor di mio figlio! CORO (interno, lontano) Regina Virginum, salve, Maria! SUOR ANGELICA Ho smarrita la ragione! CORO Mater castissima, salve, Maria! SUOR ANGELICA Non mi fare morire in dannazione! CORO Regina pacis, salve, Maria! SUOR ANGELICA Dammi un segno di grazia, dammi un segno di grazia, Madonna! Madonna! Salvami! Salvami! (Il miracolo s’inizia. La chiesetta appare come gonfia di luce. La porta della chiesa si schiude lentamente e si vedrà la chiesa gremita di angeli.) CORO O gloriosa virginum, Sublimis inter sidera. Qui te creavit, parvulum, Lactente nutris ubere. SUOR ANGELICA O Madonna, salvami! Una madre ti prega, una madre t’implora! O Madonna, salvami! CORO Quod Heva tristis abstulit, Tu reddis almo germine: intrent ut astra flebiles, Coeli reeludis eardines. Gloriosa virginum, salve, Maria! (Sulla porta apparirà la Regina del conforto, e avanti a lei un bimbo biondo, tutto bianco. La vergine sospingerà il bimbo verso la moribonda.) SUOR ANGELICA Ah! CORO Regina Virginum! SUOR ANGELICA Ah! CORO Virgo fidelis! Saneta Maria! Gloriosa virginum! Salve, Maria! (Il bimbo muove il primo passo.) Mater purissima! Salve, Maria! (Il bimbo muove il secondo passo.) Turris davidica! Salve, Maria! (Il bimbo muove il terzo passo. Suor Angelica cade dolcemente riversa e muore. Il miracolo sfolgora.) Fine dell’opera Libretto di Gioachino Forzano Personaggi Gianni Schicchi (age 50) — baritono Lauretta, sua figlia (age 21) — soprano I parenti di Buoso Donati: Zita detta "La Vecchia", cugina di Buoso (age 60) — contralto Rinuccio, nipote di Zita (age 24) — tenore Gheraldo, nipote di Buoso (age 40) — tenore Nella, sua moglie (age 34) — soprano Gheraldino, loro figlio (age 7) — soprano or treble Betto Di Signa, cognato di Buoso, povero e malvestito, età indefinibile — bass Simone, cugino di Buoso (age 70) — bass Marco, suo figlio (age 45) — baritono La Ciesca, moglie di Marco (age 38) — mezzo-soprano Maestro Spinelloccio, medico — basso Messer Amantio Di Nicolao, notaro — baritono Pinellino, calzolaio — basso Guccio, tintore — basso L’azione si volge nel 1299 a Firenze. La camera da letto di Buoso Donati. A sinistra la porta d’ingresso; oltre un pianerottolo e la scala; quindi una finestra a vetri fino a terra per cui si accede al terrazzo con la ringhiera di legno che gira esternamente la facciata della casa. Nel fondo a sinistra un finestrone da cui si scorge la torre di Arnolfo. Sulla parete di destra una scaletta di legno conduce ad un ballatoio su cui trovansi uno stipo e una porta. Sotto la scala un’altra porticina. A destra, nel fondo, il letto. Ai lati del letto quattro candelabri con quattro ceri accesi. Davanti al letto un candelabro a tre candele spento. Le sarge del letto, semichiuse, lasciano intravedere un drappo rosso che ricopre un corpo. I parenti di Buoso sono in ginocchio, intorno al letto, in atto di preghiera. Gherardino è a sinistra, vicino alla parete; è seduto in terra, volta le spalle ai parenti e si diverte a far ruzzolare delle palline di legno. Luce di sole e luce di candele; sono le nove del mattino. I parenti di Buoso sussurrano una preghiera, mentre Marco, la vecchia Zita e la Ciesca si lamentano addolorati. ZITA Povero Buoso! SIMONE Povero cugino! RINUCCIO Povero zio! LA CIESCA, MARCO Oh, Buoso! NELLA, GHERARDO Buoso! BETTO O cognato! O cogna- (Gherardino butta in terra una sedia, e i parenti, colla scusa di zittire Gherardino, zittiscono Betto.) TUTTI Sciii! GHERARDO Io piangerò per giorni e giorni! (a Gherardino che lo tira per le vesti e gli dice qualcosa all’orecchio) Sciò! NELLA Giorni? Per mesi! (a Gherardino) Sciò! LA CIESCA Mesi? Per anni ed anni! ZITA Ti piangerò tutta la vita mia! LA CIESCA, MARCO Povero Buoso! ZITA (allontanando Gherardino) Portatecelo voi, Gherardo, via! (Gherardo si alza, prende il figliolo per un braccio e a strattoni lo porta via dalla porticina di sinistra.) ZITA, LA CIESCA, RINUCCIO, MARCO, SIMONE Oh, Buoso, Buoso, tutta la vita piangeremo la tua dipartita. LA CIESCA Piangerem... RINUCCIO Piangerem. ZITA Buoso, Buoso! LA CIESCA ...tutta la vita. (Tutti ripigliano a pregare, meno Betto e Nella che si parleranno all'orecchio.) NELLA Ma come? Davvero? BETTO Lo dicono a Signa. RINUCCIO (a Nella) Che dicono a Signa? NELLA Si dice che... (Parla all'orecchio di Pinuccio.) RINUCCIO Giaaaa?! BETTO Lo dicono a Signa. LA CIESCA (a Betto) Che dicono a Signa? BETTO Si dice che... (Parla piano a Ciesca.) LA CIESCA Nooooo!? Marco, lo senti, che dicono a Signa? Si dice che... (Parla piano all'orecchio di Marco.) MARCO Eeeeeh?! ZITA Ma insomma possiamo sapere... BETTO Lo dicono a Signa. ZITA ...che diamine dicono a Signa? BETTO Ci son delle voci, dei mezzi discorsi. Dicevan iersera dal Cisti fornaio; “Se Buoso crepa, pei frati è manna. Diranno; Pancia mia, fatti capanna!” E un altro; “Sì, sì, sì, nel testamento ha lasciato ogni cosa ad un convento.” SIMONE Ma che?! Chi lo dice? BETTO Lo dicono a Signa. SIMONE Lo dicono a Signa??? GLI ALTRI Lo dicono a Slgna. (I parenti sono sempre in ginocchio, ma non pensano più alle preghiere e si guardano l’un l’altro, sorpresi.) GHERARDO O Simone? LA CIESCA Simone? ZITA Parla tu, se’ il più vecchio. MARCO Tu se’ anche stato podestà a Fucecchio. ZITA Che ne pensi? MARCO Che ne pensi? SIMONE (dopo aver riflettuto) Se il testamento è in mano d’un notaio, chi lo sa? Forse è un guaio! Se però ce l’avesse lasciato in questa stanza, guaio pei frati, ma per noi: speranza. GLI ALTRI Guaio pel frati, ma per noi; speranza. (Tutti si alzano di scatto.) RINUCCIO (a parte) O Lauretta, amore mio, sperlam nel testamento dello zio! (Ricerca febbrile. Betto adocchia un piatto d’argento sul quale vi è uno stile e un paio di forbici, pure d’argento. Cautamente guardingo allunga una mano per agguantare il contenuto del piatto, ma un falso allarme di Simone lo disturba.) SIMONE Ah! (Tutti si voltano; Betto fa il distratto. Simone guarda meglio una pergamena.) No. Non è. (Si riprende la cerca; Betto agguanta le forbici e lo stile, le striscia al panno della manica e li mette in tasca. Ora tenta di trafugare il piatto; allunga la mano, ma un falso allarme di Zita fa voltare tutti.) ZITA Ah! (cacciando la testa nello stipo) No. Non c’è. (Si riprende più affannosamente la cerca. I parenti, inferociti, non sanno più dove cercare; buttano all’aria tutto nella camera; rovistano i cassetti, le credenze, le cassapanche, sotto il letto. Le pergamene, le carte volano per l’aria. Rinuccio, che è salito allo stipo in cima alla scala, riesce ad aprirlo.) MARCO Dove sia? SIMONE, BETTO NO, non c’è! RINUCCIO Salvati! Salvati! Il testamento di Buoso Donati. (Tutti accorrono colle mani protese per afferrare il testamento. Ma Rinuccio mette il rotolo di pergamena nella sinistra e protende la destra come per fermare lo slancio dei parenti.) Zia, l’ho travato io! come compenso, dimmi se lo ZÌO, povero zio, m’avesse lasciato bene bene, se tra poco si fosse tutti ricchi, in un giorno di festa come questo, mi daresti il consenso di sposare la Lauretta, figliola dello Schicchi? Mi sembrerà più dolce il mio redaggio potrei sposarla per Calendimaggio. BETTO Ma sì! GHERARDO Ma sì! LA CIESCA, MARCO, SIMONE Ma sì! NELLA, GHERARDO C’è tempo a riparlarne. RINUCCIO Potrei sposarla per Calendimaggio. GHERARDO, MARCO Qui, presto il testamento! LA CIESCA Lo vedi che si sta colle spine sotto i piedi? RINUCCIO (dando il testamento alla Zita) Zia! ZITA Se tutto andrà come si spera, sposa chi vuoi, sia pure la versiera! RINUCCIO Ah! Io zio mi voleva tanto bene, m’avrà lasciato colle tasche piene! (a Gherardino che è tornato ora in scena) Corri da Gianni Schicchi, digli che venga qui colla Lauretta; c’è Rinuccio di Buoso che l’aspetta. (dandogli due monete) A te, due popolini; comprati confortini. (Gherardino corre via. La Zita va al tavolo e vi si siede: i parenti la seguono e l’attorniano. La Zita cerca le forbici per tagliare i nastri del rotolo; non trova le forbici. Guarda intorno i parenti, sospettosa. La Zita strappa il nastro colle mani ed apre: appare una seconda pergamena che avvolge ancora il testamento.) ZITA (leggendo) “Ai miei cugini Zita e Simone.” SIMONE Povero Buoso! ZITA Povero Buoso! (In un impeto di riconoscenza Simone accede le tre candele del candelabro spento.) SIMONE Tutta la cera tu devi avere! Insin’in fondo si deve struggere. SÌ, godi, godi! Povero Buoso! I PARENTI Povero Buoso! Se m’avesse lasciato questa casa! E i muligni di Signa! Poi la mula! Se m’avesse lasciato... ...la mula e i muligni di Signa! I muligni di Signa! La mula, i muli - ZITA Zitti! È aperto. (La Zita è in mezzo col testamento in mano; ha dietro a sé un grappolo umano. Tutti i visi sono assorti nella lettura. A un tratto i visi si cominciano a rannuvolare, arrivando poco a poco ad una espressione tragica. La Zita si abbandona su di una sedia, lasciando cadere a terra il testamento. Simone spegne le tre candele. Cala le sarge del letto e spegne gli altri candelabri. Gli altri parenti vanno ciascuno a cercare una sedia, una cassapanca e vi si sprofondano, muti, gli occhi sbarrati, fissi.) SIMONE Dunque era vero! Noi vedremo i frati ingrassare alla barba dei Donati! LA CIESCA Tutti quei bei fiorini accumulati finire nelle tonache dei frati! MARCO Privare tutti noi d’una sostanza, e i frati far sguazzar nell’abbondanza. BETTO lo dovrò misurarmi il bere a Signa, e i frati beveranno il vin di vigna! ZITA, LA CIESCA, NELLA Si faranno slargar spesso la cappa, noi schianterem di bile, e loro, pappa! RINUCCIO La mia felicità sarà rubata dall’“Opera di Santa Reparata”! GHERARDO Aprite le dispense dei conventi! Allegri, frati, ed arrotate i denti! ZITA Eccovi le primizie di mercato! Fate schioccar la lingua col palato! A voi, poveri frati; tordi grassi! SIMONE Quaglie pinate! NELLA Lodole! GHERARDO Ortolani! ZITA Beccafichi! SIMONE Quaglie pinate! Oche ingrassate! ZITA Ortolani! BETTO E galletti! LA CIESCA, NELLA, RINUCCIO, GHERARDO Galletti? TUTTI Gallettini! RINUCCIO Galletti di canto tenermi! ZITA, MARCO E colle facce rosse e ben pasciute, ridetevi di noi: ah! ah! ah! ah! SIMONE, BETTO E colle facce ben pasciute, schizzando dalle gote la salute: LA CIESCA, NELLA, GHERARDO, poi anche RINUCCIO Lodole e gallettini! Eccolo là un Donati! TUTTI Ah! ah! ah! Eccolo là! Eccolo là un Donati! Ah! ah! Ah! Eccolo là! E la voleva lui l’eredità! Ridete, o frati, ridete alla barba dei Donati! Ah! ah! ah! ah! ZITA Chi l’avrebbe mai detto che quando Buoso andava al cimitero, si sarebbe pianto per davvero! (Lentamente ognuno cerca di nuovo una sedia per cadervi sopra.) ZITA, LA CIESCA, NELLA E non c’è nessun mezzo... SIMONE, BETTO ...per cambiarlo? ZITA, MARCO ...per girarlo? GHERARDO ...addolcirlo? MARCO O Simone, Simone? ZITA Tu sei il più vecchio. MARCO Tu se’ anche stato podestà a Fucecchio. (Simone fa un cenno come per dire che è impossibile trovare un rimedio.) RINUCCIO C’è una persona sola che ci può consigliare, forse salvare. GLI ALTRI Chi? RINUCCIO Gianni Schicchi. GLI ALTRI Oh! ZITA Dì Gianni Schicchi, della figliola, non vo’ sentirne parlar mai più. E intendi bene. GHERARDINO (entrando di corsa) È qui che viene. I PARENTI Chi? GHERARDINO Gianni Schicchi! ZITA Chi l’ha chiamato? RINUCCIO Io l’ho mandato perché speravo - I PARENTI È proprio il momento d’aver Gianni Schicchi fra i piedi! ecc. ZITA Ah! bada! se sale, gli fo ruzzolare le scale! GHERARDO (a Gherardino, sculacciandolo) Tu devi obbedire soltanto a tuo padre: là, là! (Lo caccia nella stanza in cima alla scala.) SIMONE Un Donati sposare la figlia d’un villano! ZITA D’uno sceso a Firenze dal contado! Imparentarsi colla gente nova! Io non voglio che venga! Non voglio! RINUCCIO Avete torto. È fine, astuto. Ogni malizia di leggi e codici conosce e sa. Motteggiatore! Beffeggiatore! C’è da fare una beffa nuova e rara? È Gianni Schicchi che la prepara. Gli occhi furbi gli illuminan di riso lo strano viso, ombreggiato da quel suo gran nasone che pare un torrachione per così. Vien dal contado? Ebbene, che vuol dire? Basta con queste ubbie grette e piccine! Firenze è come un albero fiorito, che in piazza dei Signori ha tronco e fronde, ma le radici forze nuove apportano dalle convalli limpide e feconde. E Firenze germoglia ed alle stelle salgon palagi saldi e torri snelle! L’Arno, prima di correre alla foce, canta baciando piazza Santa Croce, e il suo canto è sì dolce e sì sonoro che a lui son scesi i ruscelletti in coro. Così scendonvi dotti in arti e scienze a far più ricca e splendida Firenze. E di Val d’Elsa giù dalle castella ben venga Arnolfo a far la torre bella. E venga Giotto dal Mugel selvoso, e il Medici mercante coraggioso. Basta con gli odi gretti e coi ripicchi! Viva la gente nova e Gianni Schicchi! (Si bussa alla porta.) È lui! (Apre la porta; entra Gianni Schicchi seguito da Lauretta.) GIANNI SCHICCHI (Si sofferma sulla porta, guardando meravigliato la fila desolata dei parenti.) Quale aspetto sgomento e desolato!... RINUCCIO Lauretta! LAURETTA Rino! GIANNI SCHICCHI ...Buoso Donati, certo, è migliorato! RINUCCIO Amore mio! LAURETTA Perché sì pallido? RINUCCIO Ahimè, lo zio... LAURETTA Ebbene, parla. RINUCCIO Amore, amore, quanto dolore. LAURETTA Quanto dolore. (Schicchi avanza lentamente nella camera e vede i candelabri intorno al letto.) SCHICCHI (fra sé) Ah! andato? Perché stanno a lagrlmare? Tl recitano meglio d’un giullare! (forte) Ah! comprendo il dolor di tanta perdita. Ne ho l’anima commossa. GHERARDO Eh! la perdita è stata proprio grossa! SCHICCHI Eh! son cose... Mah! Come si fa! In questo mondo una cosa si perde, una si trova, si perde Buoso, ma c’è l’eredità! ZITA Sicuro! Ai frati! SCHICCHI Ah! Diseredati? ZITA Diseredati! Sì, sì, diseredati! E perciò ve lo canto; pigliate la figliuola, levatevi di torno, io non do mio nipote ad una senza dote! RINUCCIO O zia, io l’amo, l’amo! LAURETTA Babbo, babbo, lo voglio! SCHICCHI Figliola, un po’ d’orgoglio! ZITA Non me n’importa un corno! SCHICCHI Brava la vecchia! Brava! Per la dote sacrifichi mia figlia e tuo nipote! Brava la vecchia! Brava! Vecchia taccagna! stillina! sordida! spilorcia! gretta! (tirando Lauretta a sinistra) Ah! vieni, vieni! Un po’ d’orgoglio! vieni, vieni! LAURETTA Rinuccio, non lasciarmi! L’hai giurato sotto la luna a Fiesole! L’hai giurato quando tu m’hai baciato! No, non lasciarmi! No, non lasciarmi, Rinuccio, no! RINUNCIO Lauretta mia, ricordati, tu m’hai giurato amore! E quella sera Fiesole sembrava tutto un fiore. Ricordati, ricordati, amore, amore. ZITA Anche m’insulta! Senza la dote non do, non do il nipote, non do il nipote! Rinuccio, vieni, lasciali andare. Sarebbe un volerti rovinare! Vieni, vieni. LAURETTA, RINUCCIO Addio, speranza bella, s’è spento ogni tuo raggio, non ci potrem sposare per il Calendimaggio. SCHICCHI Ah! vieni, Lauretta, vieni, rasciuga gli occhi, sarebbe un parentado di pintocchi. Un po’ d’orgoglio! Ah! vieni, vieni! ZITA Ma vieni! Rinuccio, vieni, ma vieni, vieni, lasciali andare. Via, via di qua! I PARENTI Anche le dispute fra innamorati! LAURETTA Babbo, lo voglio! RINUCCIO O Zia, la voglio! ZITA Ed io non voglio! SCHICCHI Un po’ d’orgoglio! I PARENTI Proprio il momento! Pensate al testamento! SCHICCHI Vecchia taccagna, gretta, sordida... I PARENTI Pensate al testamento! ZITA Ma vieni, vieni! SCHICCHI ...spilorcia, via! LAURETTA, RINUCCIO Amore! SCHICCHI Via di qua! Ah, vieni, vieni! ZITA NO, no, non voglio! Via di qua! I PARENTI Pensate al testamento! LAURETTA, RINUCCIO Amore! ZITA No! no! no! SCHICCHI Vien! vien! vien! RINUCCIO (fermando Schicchi) Signor Giovanni, rimanete un momento. (alla Zita) Invece di sbraitare dategli il testamento. (allo Schicchi) Cercate di salvarci! A voi non può mancare un’idea portentosa, una trovata, un rimedio, un ripiego, un espediente! SCHICCHI A pro di quella gente? Niente! niente! niente! LAURETTA (in ginocchio, dinanzi a Gianni Schicchi) O mio babbino caro, mi piace, è bello, bello; vo’ andare in Porta Rossa a comperar l’annello! SÌ, sì, ci voglio andare! E se l’amassi indarno, andrei sul Ponte Vecchio, ma per buttarmi in Arno! Mi struggo e mi tormento! O dio, vorrei morir! Babbo, pietà, pietà! Babbo, pietà, pietà! SCHICCHI Datemi il testamento! (Rinuccio dà il testamento a Gianni; questi passeggia, in su e in giù, assorto nella lettura. I parenti lo seguono cogli occhi, poi inconsciamente finiscono coll'andargli dietro. Schicchi si arresta di colpo.) Niente da farei LAURETTA, RINUCCIO Addio, speranza bella, dolce miraggio; non ci potrem sposare per il Calendimaggio! (Gianni Schicchi riprende a passeggiare leggendo più attentamente il testamento.) SCHICCHI (s'arresta di botto) Niente da farei LAURETTA, RINUCCIO Addio, speranza bella, s’è spento ogni tuo raggio. SCHICCHI Però!... LAURETTA, RINUCCIO Forse ci sposeremo per il Calendimaggio! (I parenti circondano Schicchi, guardandolo con grande ansietà. Lo Schicchi, immobile nel mezzo della scena, gesticola parcamente, guardando innanzi a sé. A poco a poco il suo viso diventa sorridente, trionfante.) I PARENTI Ebbene? SCHICCHI Laurettina, va sul terrazzino; porta i minuzzolini all’uccellino. (fermando Rinuccio che vuole seguire Lauretta) Sola. (Appena Lauretta è uscita. Schicchi si rivolge ai parenti.) Nessuno sa che Buoso ha reso il fiato? I PARENTI Nessuno. SCHICCHI Bene! Ancora nessuno deve saperlo. I PARENTI Nessuno saprà. SCHICCHI E i servi? ZITA Dopo l’aggravamento, in camera, nessuno. SCHICCHI (a Marco e Gherardo) Voi due portate il morto e i candelabri là dentro nella stanza dirimpetto. Donne, rifate il letto! ZITA, LA CIESCA, NELLA Ma - SCHICCHI Zitte, obbedite! (Marco e Gherardo scompariscono fra le sarge del letto e ricompaiono con un fardello rosso che portano nella camera di destra. Simone, Betto e Rinuccio portano via i candelabri, e le donne cominciano a ravviare il letto. Si bussa alla porta: si fermano tutti, sorpresi.) I PARENTI Ah! SCHICCHI Chi può essere? Ah! ZITA Maestro Spinelloccio, il dottore! SCHICCHI Guardate che non passi. Ditegli qualche cosa, che Buoso è migliorato e che riposa. (I parenti si affollano alla porta e la schiudono appena. Schicchi si nasconde dietro alle sarge. Betto avvicina gli scuri della finestra.) MAESTRO SPINELLOCCIO L’è permesso? I PARENTI Buon giorno, Maestro Spinelloccio. ZITA, MARCO, BETTO Va meglio! LA CIESCA, RINUCCIO, GHERARDO Va meglio! NELLA Va meglio! SIMONE Va meglio! MAESTRO SPINELLOCCIO Ha avuto il benefissio? ZITA, SIMONE, BETTO Altro che! LA CIESCA, NELLA, MARCO Altro che! MAESTRO SPINELLOCCIO A che potensa l’è arrivata la sciensa! Be’, vediamo, vediamo. (Spinelloccio fa per entrare; i parenti lo fermano.) ZITA, MARCO No! Riposa. MAESTRO SPINELLOCCIO Ma io - LA CIESCA, SIMONE Riposa. SCHICCHI (con voce contraffatta) No, no, Maestro Spinelloccio. (Alla voce contraffatta dello Schicchi i parenti danno un traballone, poi si accorgono che è Schicchi che contraffà la voce di Buoso.) MAESTRO SPINELLOCCIO Oh! Messer Buoso! SCHICCHI Io tanta voglia di riposare, potreste ripassare questa sera? Son quasi addormentato. MAESTRO SPINELLOCCIO Sì, Messer Buoso. Ma va meglio? SCHICCHI Da morte son rinato. A stasera. MAESTRO SPINELLOCCIO A stasera. (ai parenti) Anche alla voce sento; è migliorato. Eh! a me non è mai morto un ammalato. Non ho delle pretese, il merito l’è tutto della scuola Bolognese. I PARENTI A stasera, Maestro. MAESTRO SPINELLOCCIO A questa sera. (I parenti chiudono la porta e si volgono allo Schicchi che è uscito dal suo nascondiglio. Betto va a riaprire le finestre; entra la luce.) SCHICCHI Era uguale la voce? I PARENTI Tale e quale! SCHICCHI Ah, vittoria! vittoria! Ma non capite? I PARENTI No! SCHICCHI Ah, che zucconi! Si corre dal notaio; “Messer notaio, presto! Vien da Buoso Donati. C’è un gran peggioramento. Vuol fare testamento. Portate su con voi le pergamene; presto, messere, se no, è tardi!” Ed il notaio viene. Entra: la stanza è semioscura, dentro il letto intravede di Buoso la figura. In testa la cappellina, al viso la pezzolina. Fra cappellina e pezzolina un naso che par quello di Buoso e invece è il mio, perché al posto di Buoso ci son io! Io, lo Schicchi, con altra voce e forma. Io falsifico in me Buoso Donati, testando e dando al testamento norma. O gente! Questa matta bizzarria che mi zampilla nella fantasia è tale da sfidar l’eternità! I PARENTI Schicchi! Schicchi! Schicchi! (Come strozzati dalla commozione i parenti attorniano Gianni Schicchi; gli baciano le mani e le vesti.) Schicchi! Schicchi! Schicchi! ecc. ZITA (a Rinuccio) Va, corri dal notaio. RINUCCIO Io corro dal notaio. (Esce correndo.) I PARENTI Caro Gherardo, Marco, Zita, Ciesca, ecc. SCHICCHI Oh! quale commozione! I PARENTI Nella, Ciesca, Schicchi!! Schicchi!! Schicchi! Schicchi! Gherardo, Marco, Zita. O giorno d’allegrezza! La beffa ai frati è bella! Schicchi! Schicchi! Schicchi! SCHICCHI Oh! quale commozione! Oh! quale commozione! (I parenti si abbracciano e si baciano con grande effusione.) I PARENTI Come è bello l’amore fra I parenti! Come è bello l’amore fra I parenti! SIMONE O Gianni, ora pensiamo un po’ alla divisione: I fiorini in contanti? I PARENTI In parti eguali! SIMONE A me i poderi di Fucecchio. ZITA A me quelli di Figline. BETTO A me quelli di Prato, GHERARDO A noi le terre d’Empoli. MARCO A me quelle di Quintole. BETTO A me quelle di Prato. SIMONE E quelle di Fucecchio. ZITA Resterebbero ancora: la mula, questa casa e I mulini di Slgna. MARCO Son le cose migliori. SIMONE Ah, capisco, capisco. Perché sono il più vecchio e sono stato podestà a Fucecchio, volete darli a me. lo vi ringrazio. ZITA No, no, no, no! Un momento! Se tu se’ vecchio, peggio per te! Peggio per te! I PARENTI Sentilo, sentilo, il podestà! Vorrebbe il meglio dell’eredità! La casa, la mula, i mulini di Signa toccano a me! La mula, i mulini, la casa toccano a me! La casa, i mulini toccano a me! ecc. SCHICCHI Quanto dura l’amore fra i parenti! Ah! ah! ah! ah! ah! ah! Ah! ah! ah! ah! ecc. (Si odono i rintocchi di una campana che suona a morto. Tutti i parenti ammutoliscono allibiti.) I PARENTI L’hanno saputo! Hanno saputo che Buoso è crepato! (Gherardo si precipita giù dalla scala d’uscita.) SCHICCHI Tutto è crollato! LAURETTA (affacciandosi dal terrazzo) Babbo, si può sapere? L’uccellino non vuole più minuzzoli. SCHICCHI Ora dagli da bere! (Lauretta scompare di nuovo sul terrazzo. Gherardo rientra affannato.) GHERARDO È preso un accidente al moro battezzato del signore capitano. I PARENTI Requiescat in pace! SIMONE Per la casa, la mula, i mulini propongo di rimetterei alla giustizia, all’onestà di Schicchi. I PARENTI Rimettiamoci a Schicchi! SCHICCHI Come volete. Datemi i panni per vestirmi. Presto, presto! (Zita, Nella e la Ciesca prendono da una cassapanca la pezzolina, la cappellina e una camicia da notte di Buoso e mano a mano le portano a Gianni Schicchi e lo ranno vestire.) ZITA Ecco la cappellina! (sottovoce, a Schicchi) Se mi lasci la mula, questa casa, i mulini di Signa, ti dò trenta fiorini. SCHICCHI Sta bene! (Zita si allontana, fregandosi le mani. Simone si avvicina con fare distratto a Schicchi.) SIMONE Se lasci a me la casa, la mula ed i mulini, ti dò cento fiorini. SCHICCHI Sta bene! BETTO (si avvicina furtivo a Schicchi) Gianni, se tu mi lasci questa casa, la mula ed i mulini di Signa, ti gonfio di quattrini! SCHICCHI Sta bene! (Nella parla a parte con Gherardo, poi si avvicina a Schicchi.) NELLA Ecco la pezzolina! (sottovoce) Se lasci a noi la mula, i mulini di Signa e questa casa, a furia di fiorini ti s’intasa! SCHICCHI Sta bene! (La Ciesca parla sottovoce a Marco poi si avvicina a Schicchi.) LA CIESCA Ed ecco la camicia. (sottovoce) Se ci lasci la mula, i mulini di Signa e questa casa, per te mille fiorini! SCHICCHI Sta bene! (Tutti i parenti sono soddisfatti e si fregano le mani. Intanto Gianni Schicchi si infila la camicia. Le tre donne attorniano Schicchi e lo ammirano; Simone è alla finestra per vedere se arriva il notaio. Gherardo sbarazza il tavolo dove dovrà sedere il notaio; Marco e Betto tirano le sarge del letto e ravviano la stanza.) NELLA Spogliati, bambolino, ehé ti mettiamo in letto. E non aver, non aver dispetto, no, no, se cambio il carnicino! Si spiuma il canarino, il volpe cambia pelo, il ragno ragnatela, il cane cambia cuccia, la serpe cambia buccia. ZITA È bello, portentoso! Chi vuoi che non s’inganni? È Gianni che fa Buoso? È Buoso che fa Gianni? Il testamento è odioso? Un camicion maestoso, il viso, il viso dormiglioso, il naso ponderoso, l’accento lamentoso, ah! LA CIESCA Fa’ presto, bambolino, ché devi andar a letto. Se va bene il giochetto, ti diamo un confortino! L’uovo divien pulcino, il fior diventa frutto, i frati mangian tutto, ma il frate impoverisce, la Ciesca s’arricchisce, ah! NELLA E il buon Gianni... ZITA ...cambia panni... NELLA ...per poterci servir! LA CIESCA Cambia viso... ZITA ...muso e naso... LA CIESCA ...per poterci servir! NELLA Cambia accento... ZITA ...testamento... TUTTE E TRE ...per poterci servir! SCHICCHI Ti servirò a doveri LE DONNE Bravo così. SCHICCHI Contente vi farò! LE DONNE Proprio così. O Gianni, Gianni, nostro salvatori LA CIESCA, NELLA O Gianni Schicchi, nostro salvatore! ZITA O Schicchi! LA CIESCA, NELLA O Schicchi! ZITA O Gianni Schicchi, nostro salvatore! NELLA, GHERARDO È preciso? LA CIESCA, MARCO, SIMONE, BETTO Perfetto! LE DONNE A letto! GLI UOMINI A letto! LE DONNE A letto! GLI UOMINI A letto! (Schicchi li ferma con un gesto solenne.) SCHICCHI Prima un avvertimento. O signori, giudizio. Voi lo sapete il rischio? “Per chi sostituisce sé stesso in luogo d’altri in testamenti e lasciti, per lui e per i complici è il taglio della mano e poi l’esilio.” Ricordatelo bene! Se fossimo scoperti: la vedete Firenze? Addio, Firenze, addio, cielo divino, io ti saluto con questo moncherino, e vo randagio come un Ghibellino! I PARENTI Addio, Firenze, addio, cielo divino, ecc. (Si bussa alla porta. Gianni schizza a letto; i parenti in gran fretta lo accomodano, tirano i tendaggi, mettono una candela accesa sul tavolo dove il notaio deve scrivere e finalmente aprono. Entrano Rinuccio, il notaio e due testimoni, Pinellino e Guccio.) RINUCCIO Ecco il notaro. IL NOTAIO, PINELLINO, GUCCIO Messer Buoso, buon giorno. SCHICCHI Oh! Siete qui? Grazie, messer Amantio. O Pinellino, calzolaio, grazie. Grazie, Guccio, tintore, troppo buoni, troppo buoni di venirmi a servir da testimoni. PINELLINO Povero BUOSO! Io l’ho sempre calzato, vederlo in quello stato, vien da piangere. (Il notaio tira fuori da una cassetta le pergamene e i bolli e mette tutto sul tavolo; si siede nella poltrona; i due testimoni restano in piedi, ai suoi lati.) SCHICCHI Il testamento avrei voluto scriverlo con la scrittura mia, ma l’impedisce la paralisia. Perciò volli un notaio, solempne et leale. IL NOTAIO Oh! messer Buoso, grazie. Dunque tu soffri di paralisia? (Schicchi tenta allungare in alto le mani, agitandole tremolanti.) LA CIESCA, NELLA Povero Buoso! ZITA, SIMONE Povero Buoso! IL NOTAIO Oh! Poveretto! Basta! I testi videro, testes viderunt. Possiamo incominciare. Ma - i parenti? SCHICCHI Che restino presenti. IL NOTAIO Dunque incomincio. In Dei nomini, anno Dei Nostri Jesu Christi ab eius salutifera incarnatione millesimo, duecentesimo nonagesimo nono, die prima septembris, indictione undecima, ego notaro Amantio di Nicolao, civis Florentiae, per voluntatem Buosi Donati scribo hoc testamentum. SCHICCHI Annullans, revocans et irritans omne aliud testamentum. ZITA, LA CIESCA, NELLA Che previdenza! MARCO, SIMONE, BETTO Che previdenza! IL NOTAIO Un preambolo: dimmi, i funerali (il più tardi possibile) li vuoi ricchi? fastosi? dispendiosi? SCHICCHI NO, no, no, pochi quattrini. Non si spendano più di due fiorini, GHERARDO Oh, che modestia! MARCO Oh, che modestia! LA CIESCA, NELLA, RINUCCIO Povero zio! ZITA Che animo! BETTO Che cuore! SIMONE Gli torna a onore! SCHICCHI Lascio ai frati minori ed all’Opera di Santa Reparata - (I parenti, leggermente turbati, si alzano lentamente.) - cinque lire. SIMONE, BETTO Bravo! ZITA, MARCO Bravo! ZITA, MARCO, SIMONE, BETTO Bisogna sempre pensare alla beneficenza. IL NOTAIO Non ti sembra un po’ poco? SCHICCHI chi crepa e lascia molto alle congreghe e ai frati fa dire a chi rimane: “eran quattrini rubati”. NELLA, RINUCCIO, GHERARDO Che massime! LA CIESCA, MARCO, BETTO Che mente! ZITA, SIMONE Che saggezza! IL NOTAIO Che lucidezza! SCHICCHI I fiorini in contanti li lascio in parti uguali fra i parenti. LA CIESCA, NELLA, RINUCCIO Oh, grazie, zio! ZITA Grazie, cugino! SIMONE, BETTO Grazie, cognato! SCHICCHI Lascio a Simone i beni di Fucecchio SIMONE Grazie! SCHICCHI Alla Zita I poderi di Figline. ZITA Grazie, grazie! SCHICCHI A Betto i campi di Prato. BETTO Grazie, cognato! SCHICCHI A Nella ed a Gherardo i beni d’Empoli. NELLA, GHERARDO Grazie, grazie! SCHICCHI Alla Ciesca ed a Marco i beni a Quintole. I PARENTI Ora siamo alla mula, alla casa e ai mulini. SCHICCHI Lascio la mula, quella che costa trecento fiorini, che è la migliore mula di Toscana al mio devoto amico - Gianni Schicchi. I PARENTI Come? come? com’è? com’è? IL NOTAIO Mulam reliquit eius amico devoto Joanni Schicchi. I PARENTI Ma - SIMONE Cosa vuol che gl’importi a Gianni Schicchi di quella mula? SCHICCHI Tienti bono, Simone. Lo so io quel che vuole Gianni Schicchi! I PARENTI Ah, furfante, furfante, furfante! SCHICCHI Lascio la casa di Firenze al mio caro, devoto, affezionato amico Gianni Schicchi. (I parenti scattano, inferociti.) I PARENTI Ah! basta, basta! Un accidente a quel furfante di Gianni Schicchi! ci ribelliamo, ci ribelliamo, ecc. SCHICCHI Addio, Firenze, addio, cielo divino.... I PARENTI Ah! SCHICCHI ...io ti saluto. IL NOTAIO Non si disturbi del testator la volontà. SCHICCHI Messer Amantio, io lascio a chi mi pare. Ho in mente un testamento e sarà quello. Se gridano, sto calmo, e canterello. GUCCIO Ah! che uomo! PINELLINO Che uomo! SCHICCHI E i mulini di Signa... I PARENTI I mulini di Signa? SCHICCHI I mulini di Slgna (addio, Firenze!) Il lascio al caro (addio, cielo divino!) affezionato amico, Gianni Schicchi! I PARENTI Ah! SCHICCHI (E ti saluto con questo moncherino!) La, la, la, la, la, la, la, la. Ecco fatto! Zita, di vostra borsa date venti fiorini ai testimoni, e cento al buon notaio. IL NOTAIO Messer Buoso, grazie. (Il notaio si avvia verso il letto, ma Schicchi lo ferma con un gesto della mano tremula.) SCHICCHI Niente saluti. Andate, andate. Siamo forti. IL NOTAIO (avviandosi per uscire) Ah, che uomo, che uomo! PINELLINO, GUCCIO (avviandosi) Che uomo, che perdita! IL NOTAIO Che peccato! IL NOTAIO, PINELLINO, GUCCIO Che perdita! GUCCIO (ai parenti) Coraggio! PINELLINO Coraggio! (Appena usciti il notaio e i testi, Rinuccio corre sul terrazzino e i parenti si slanciano contro lo Schicchi che, ritto sul letto, si difende come può.) ZITA Ladro! I PARENTI Ladro! Ladro, ladro, furfante, traditore, birbante, iniquo, ladro, ladro, furfante, birbante, traditore! SCHICCHI Gente taccagna! (Schicchi salta giù dal letto e, brandendo il bastone di Buoso, mena legnate ai parenti.) Vi caccio via di casa miai È casa miai (I parenti corrono qua e là, saccheggiano e rubano.) I PARENTI Saccheggiai Saccheggiai Saccheggiai GHERARDO, SIMONE, BETTO Saccheggiai Saccheggiai ZITA Bottino! Bottino! MARCO La roba d’argento! SCHICCHI Viai viai viai I PARENTI Le pezze di telai La roba d’argentoi SCHICCHI È casa miai I PARENTI La roba d’argentoi Le pezze di telai SCHICCHI Via! via! Via! via! Via! via! È casa mia, vi caccio via! I PARENTI La roba d’argento! Le pezze di telai Bottino! bottino! Saccheggia! saccheggia! SCHICCHI Via! via! via! ZITA, LA CIESCA, NELLA Ah! SCHICCHI Via! via! via! via! ecc. (Tutti i parenti mano a mano che son carichi si affollano alla porta e scendono le scale. Schicchi li rincorre, precipitandosi giù per le scale.) I PARENTI Ladro, iniquo, furfante, traditore! SCHICCHI Via! via! via! I PARENTI Ladro, ladro, furfante, traditore! SCHICCHI Via! via! I PARENTI Ah! ah! SCHICCHI Via! via! I PARENTI Ah! ah! SCHICCHI Via! via! (Apre lentamente il finestrone: appare Firenze inondata di sole; i due innamorati si fermano, abbracciati, sul terrazzino.) RINUCCIO Lauretta mia, staremo sempre qui. Guarda, Firenze è d’oro, Fiesole è bella! LAURETTA Là mi giurasti amore. RINUCCIO Ti chiesi un bacio. LAURETTA Il primo bacio. RINUCCIO Tremante e bianca volgesti il viso. LAURETTA, RINUCCIO Firenze da lontano ci parve il Paradiso! (Torna Schicchi risalendo le scale, carico di roba che butta al suolo.) SCHICCHI La masnada fuggii (Vede gli innamorati, sorride e si volge al pubblico.) Ditemi voi, signori, se i quattrini di Buoso potevan finir meglio di così. Per questa bizzarria m’han cacciato all’inferno, e così sia; ma, con licenza del gran padre Dante, se stasera vi siete divertiti, concedetemi voi (Fa il gesto di applaudire.) l’attenuante. Fine dell’opera Libretto di Gioachino Forzano Italian libretto © G. Ricordi & Co. SpA. |
libretto by Giuseppi Adami; Gioachino Forzano |