Il trittico (Il tabarro, Suor Angelica, Gianni Schicchi)” by Giacomo Puccini libretto (Italian)

Il tabarro

Personaggi

Michele, padrone del barcone (50 anni) — baritono
Luigi, scaricatore (20 anni) — tenore
Il “Tinca”, scaricatore (35 anni) — tenore
Il “Talpa”, scaricatore (55 anni) — basso
Giorgetta, moglie di Michele (25 anni) — soprano
La Frugola, moglie del Talpa (50 anni) — mezzosoprano
Un venditore di canzonette — tenore
Scaricatori, Midinettes — coro
Due amanti — soprano, tenore
Un suonatore d'organetto.

Un angolo della Senna, dove è ancorato il
barcone di Michele. La barca è congiunta al
molo con una passerella. Nel fondo il profilo
della vecchia Parigi e la mole maestosa di
Notre-Dame staccano sul cielo rosso. Sempre
nel fondo, a destra, sono i caseggiati che
fiancheggiano il lungo-Senna e alti platani
lussureggianti.

Il barcone ha tutto il carattere delle
consuete imbarcazioni che navigano la Senna.
Il timone campeggia in alto della cabina. E la
cabina è tutta linda e ben dipinta con le sue
finestrette verdi, il fumaiolo e il tetto piano, a
mo’ d’altana, sul quale sono alcuni vasi di
geranii. Su una corda sono distesi i panni ad
asciugare. Sulla porta della cabina, la gabbia
dei canarini. È il tramonto.

Sulla sponda sta un carro con un cavallo,
sacchi di cemento vi sono accatastati; gli
scaricatori salgono dalla stiva col loro sacco
pesante sulle spalle e lo portano sul carro.

Michele colla pipa spenta, è immobile
presso il timone guardando il sole che
tramonta. Giorgetta è intenta a diverse
faccende; ritira alcuni panni stesi ad
asciugare; cava un secchio d’acqua dal fiume
e innaffia i suoi fiori; ripulisce la gabbia dei
canarini. Suoni di sirena di rimor - chiatore e
cornetta d’automobile.

GIORGETTA
O Michele? Michele?
Non sei stanco d’abbacinarti al sole che
tramonta?
Ti sembra un gran spettacolo?

MICHELE
Sicuro!

GIORGETTA
Lo vedo bene: dalla tua pipa
il fumo bianco non sbuffa più.

MICHELE (accennando agli scaricatori)
Han finito laggiù?

GIORGETTA
Vuoi che discenda?

MICHELE
No. Resta. Andrò io stesso.

GIORGETTA
Han lavorato tanto! Come avean promesso,
la stiva sarà sgombra,
e per doman si potrà caricare.

SCARICATORI
Oh! Issa! Oh!
GIORGETTA
Bisognerebbe compensare questa loro fatica;
un buon bicchiere!

MICHELE
Ma certo. Pensi a tutto,
cuore d’oro!

SCARICATORI
Oh! Issa! oh! Un giro ancor!
Se lavoriam senza ardore
si resterà ad ormeggiare
e Margot con altri ne andrà.

MICHELE
Porta loro da bere.

GIORGETTA
Sono alla fine, prenderanno forza.

MICHELE
Il mio vinello smorza la sete e li ristora.

SCARICATORI
Oh! Issa! oh! Un giro ancor!
Non ti stancar, battelliere;
dopo potrai riposare,
e Margot felice sarà.

MICHELE
(avvicinandosi a Giorgetta affettuosamente)
E a me non hai pensato?
GIORGETTA (scostandosi un poco)
A te? Che cosa?

MICHELE (cingendola con un braccio)
Al vino ho rinunciato;
ma, se la pipa è spenta,
non è spento il mio ardore.

SCARICATORI
Oh! Issa! oh! Un giro ancor!
Ora la stiva è vuotata,
chiusa è la lunga giornata
e Margot amor ti darà.

MICHELE
Un tuo bacio, o mio amore...
(La bacia: Giorgetta gli porge la guancia e non
la bocca. Michele s’avvia verso la stiva e vi
discende.)


LUIGI
(passando dalla banchina sul barcone)
Si soffoca, padrona!

GIORGETTA
Lo pensavo. Ho quel che ci vuole.
Sentirete che vino!
(Entra nella cabina.)

IL TINCA
(uscendo dalla stiva col carico sulle spalle)

Saoohi dannati! mondo birbone!
Spicciati, Talpa! Si va a mangiare!

IL TALPA
(salendo dalla stiva col carico sulle spalle)

Non aver fretta! non mi seccare!
Ah! questo sacco spacca il groppone!
(scotendo la testa e tergendosi il sudore col
rovescio della mano)

Dio! che caldo!
O Luigi, ancora una passata.

LUIGI
Eccola la passata! Ragazzi, si beve!
Qui, tutti insiem, lesti!
Lesti! Pronti!
Nel vino troverem l’energia per finir!

(Tutti attorniano Giorgetta che distribuisce i
bicchieri.)


GIORGETTA
Come parla difficile!
Ma certo, vino alla compagnia!
Qua, Talpa! Al Tinca! A voi, prendete!

IL TALPA
Alla salute vostra il vino si beva!
S’alzi il bicchieri Bevo! Viva!
Tanta felicità per la gioia che dà!

GIORGETTA
Se ne volete ancor.

IL TALPA
Non si rifiuta mai!
(Giorgetta mesce di nuovo al Talpa.)

GIORGETTA (agli altri)
Avanti coi bicchieri!

LUIGI
(indicando un suonatore di organetto che
passa sulla banchina)

Guarda là l’organetto.
È arrivato in buon punto.

IL TINCA
In questo vino affogo i tristi pensieri.

Bevo al padron! Viva!
(a Giorgetta che mesce ancora)
Grazie, grazie.
L’unico mio piacer sta qui in fondo al
bicchier.

LUIGI (al suonatore)
Ei, là! Professore! Vien qua.
(agli amici)
Sentirete che artista.
GIORGETTA (a Luigi)
IO capisco una musica sola:
Quella che fa ballare.

IL TINCA (si fa avanti)
Ma sicuro!
Ai suoi ordini sempre, e gamba buona.

GIORGETTA
To’! Io ti prendo in parola.

IL TINCA
Ballo con la padrona!
(Il Tinca e Giorgetta ballano. Luigi e il Talpa si
tappano le orecchie alle stonature
dell'organetto. Il Tinca non riesce a prendere il
passo d'accordo con Giorgetta.)


LUIGI
La musica e la danza van d’accordo!
(al Tinca)
Sembra che tu pulisca il pavimento.

GIORGETTA
Ahi! m’hai pestato un piede!

LUIGI
(allontanando il Tinca con una spinta e sostituendolo)
Va, lascia, son qua io.
(Luigi balla con Giorgetta; questa si
abbandona languidamente fra le braccia di Luigi.)


IL TALPA
Ragazzi, c’è il padrone.
(Michele appare dalla stiva. I due smettono di
ballare; Luigi fa cenno di smettere al
suonatore e gli dà una moneta. Il suonatore se
ne va. Luigi e gli altri scaricatori scendono
nella stiva, mentre Michele si avvicina a
Giorgetta. Lei si dà una ravviata ai capelli.)


GIORGETTA (a Michele)
Dunque, che cosa credi?
Partiremo la settimana prossima?

MICHELE
Vedremo.

GIORGETTA
Il Talpa e il Tinca restano?

MICHELE
Resterà anche Luigi.

GIORGETTA
Ieri non lo pensavi.

MICHELE
Ed oggi, penso.
GIORGETTA
Perché?

UN VENDITORE DI CANZONETTE
Chi vuol l’ultima canzonetta?

MICHELE
Perché non voglio ch’egli crepi di fame.

GIORGETTA
Quello s’arrangia sempre.

MICHELE
Lo so, s’arrangia, è vero...

IL VENDITORE DI CANZONETTE
Chi la vuole?

MICHELE
...ed è per questo che non conclude nulla.

GIORGETTA
Con te non si sa mai chi fa
male o fa bene.

IL VENDITORE DI CANZONETTE
Chi la vuole?

MICHELE
Chi lavora si tiene.
(Si ode una sirena lontana di rimorchiatore.)
GIORGETTA
Già discende la sera.
Oh che rosso tramonto di settembre,
che brivido d’autunno!
Non sembra un grosso arancio
questo sole che muore nella Senna?
Guarda laggiù la Frugola!

IL VENDITORE DI CANZONETTE
Chi la vuole, con musica e parole?

GIORGETTA
La vedi?
Cerca di suo marito e non lo lascia.

MICHELE
È giusto, beve troppo.

GIORGETTA
Non lo sai che è gelosa?
(scrutando Michele)
O mio uomo, non sei di buon umore.

Che hai? Che guardi? E perché taci?

IL VENDITORE DI CANZONETTE
Chi la vuole l’ultima canzonetta?
(Il venditore di canzonette appare sulla strada
al di là della Senna, seguito da un uomo che
porta una piccola arpa ad armacollo. Alcune

Midinettes, che escono da una casa di mode,
Io attorniano.)


MIDINETTES
Bene, bene!
Sì, sì!
(L’arpista si siede su un piccolo sgabello
portatile e si accinge a suonare.)


MICHELE
T’ho mal fatto scenate?

GIORGETTA
Lo so bene: tu non ml batti.

IL VENDITORE DI CANZONETTE
Primavera, primavera,
non cercare più i due amanti...

MICHELE
Che? lo vorresti?

GIORGETTA
Ai silenzi talvolta, SÌ, preferirei
lividi di percosse!

IL VENDITORE DI CANZONETTE
...là fra l’ombre della sera.
(Michele, senza rispondere, risale il barcone, e
si mette a fissar meglio una corda d’amarra.)

Primavera, primavera!
Chi ha vissuto per amore,
per amore si morì.
È la storia di Mimi.
(Le ragazze comprano la canzonetta.)

GIORGETTA (che ha seguito Michele)
Dimmi almeno che hai.

MICHELE
Nulla, nulla.

IL VENDITORE DI CANZONETTE
Chi aspettando sa che muore
conta ad ore le giornate
con i battiti del cuore...

GIORGETTA
Quando siamo a Parigi
io mi sento felice.

MICHELE
Si capisce.

GIORGETTA
Perché?

IL VENDITORE DI CANZONETTE
...conta ad ore le giornate.
Ma l’amante non tornò,
e i suoi battiti finì
anche il cuore di Mimi.
(Il venditore di canzonette s'allontana seguito
dall’arpista; le ragazze, leggendo sui foglietti
comperati, sciamano, ripetendo l’ultima strofa
della canzonetta.)


MIDINETTES
Conta ad ore le giornate,
ma l’amante non tornò,
e i suoni battiti finì,
larà, larà, larà,
anche il cuore di Mimi.

(La Frugola è apparsa sulla banchina,
attraversa la passerella e sale sul barcone.
Ha sulle spalle una vecchia sacca gonfia
di ogni sorta di roba raccattata.)


LA FRUGOLA
O eterni innamorati, buona sera!

GIORGETTA
Oh, buona sera, Frugola.
(Michele, dopo di aver salutato con un gesto la
Frugola si allontana ed entra nella cabina.)


LA FRUGOLA
Il mio uomo ha finito il lavoro?
Stamattina non ne poteva più dal mal di reni.
Faceva proprio pena.
Ma l’ho curato io: una buona frizione,
e il mio rum l’ha bevuto la sua schiena!

(Getta a terra la sacca e vi fruga dentro,
cavandone vari oggetti.)
Ah, Giorgetta, guarda; un pettine fiammante!
Se lo vuoi, te lo dono.
È quanto del più buono
ho raccolto in giornata.

GIORGETTA (prendendo il pettine)
Hanno ragione di chiamarti Frugola;
tu rovisti ogni angolo ed hai la sacca piena.

LA FRUGOLA
Se tu sapessi gli oggetti strani
che in questa sacca sono racchiusi!
Guarda, guarda!
È per te questo ciuffo di piume.
Trine e velluti, stracci, barattoli.
Vi son confusi gli oggetti strani.
Strane reliquie,
i documenti di mille amori.
Gioie e tormenti quivi raccolgo
senza distinguere fra i ricchi e il volgo.

GIORGETTA
E in quel cartoccio?

LA FRUGOLA
Cuore di manzo per Caporale,
il mio soriano dal pelo fulvo,
dall’occhio strano che non ha uguale.
GIORGETTA
Gode dei privilegi il tuo soriano.

LA FRUGOLA
Li meritai Vedessi!
È il più bel gatto, il mio più bel romanzo.
Quando il mio Talpa è fuori, mi tiene compagnia,
ed insieme noi filiamo, noi filiam i nostri amori
senza puntigli e senza gelosia.
Vuoi saperla la sua filosofia?
Ron, ron, ron:
meglio padron in una catapecchia
che servo in un palazzo.
Ron, ron, ron, ron, ron:
meglio cibarsi con due fette di cuore
che logorare il proprio nell’amor.

IL TALPA
(salendo dalla stiva, seguito da Luigi)

To’! guarda la mia vecchia!
Che narravi?

LA FRUGOLA
Parlavo con Giorgetta del soriano.

(Si ode una tromba d’automobile, lontana.)
MICHELE (uscendo dalla cabina)
O Luigi, domani si carica del ferro.
Viene a darci una mano?

LUIGI
Verrò, padrone.
(Il Tinca viene dalla stiva, seguito dagli altri
scaricatori che se ne vanno per la banchina
dopo di avere salutato Michele.)


IL TINCA
Buona notte a tutti.

IL TALPA (al Tinca)
Hai tanta fretta?

LA FRUGOLA
Corri ad ubriacarti?
Ah, se fossi tua moglie!

IL TINCA
Che fareste?

LA FRUGOLA
Ti pesterei finché non la smettessi
di passar le notti all’osteria.
Non ti vergogni?

IL TINCA
No, no, no! Fa bene il vino!
Si affogano i pensieri di rivolta:
che se bevo non penso,
e se penso non rido.
Ah! ah! ah! ah!
(S’incammina sghignazzando, mentre Michele
discende nella stiva.)


LUIGI (fermando il Tinca)
Hai ben ragione; meglio non pensare,
piegare il capo ed incurvar la schiena.
Per noi la vita non ha più valore,
ed ogni gioia si converta in pena.
I sacchi in groppa e giù la testa a terra!
Se guardi in alto, bada alla frustata.
Il pane lo guadagni col sudore,
e l’ora dell’amore va rubata.
Va rubata fra spasimi e paure,
che offuscano l’ebbrezza più divina.
Tutto è conteso, tutto ci è rapito,
la giornata è già buia alla mattina.
Hai ben ragione; meglio non pensare,
piegare il capo ed incurvar la schiena!

IL TINCA
Segui il mio esempio: bevi!

GIORGETTA
Basta!

IL TINCA
Non parlo più.
A domani, ragazzi, e state bene!
(S’incammina e scompare per la banchina.)

IL TALPA (alla Frugola)
Ce n’andiamo anche noi?
Son stanco morto.

LA FRUGOLA
Ah, quando mai potremo comprarci una
bicocca?
Là ci risposeremo.

GIORGETTA
È la tua fissazione, la campagna.

LA FRUGOLA
Ho sognato una casetta
con un piccolo orticello.
Quattro muri, stretta stretta,
e due pini per ombrello.
Il mio vecchio steso al sole,
ai miei piedi Caporale
e aspettar così la morte
che è rimedio d’ogni male.

GIORGETTA
È ben altro il mio sogno!
Son nata nel sobborgo,
e solo l’aria di Parigi m’esalta,
m’esalta e mi nutrisce.
Ah! se Michele un giorno abbandonasse
questa logora vita vagabonda!
Non si vive là dentro,
fra il letto ed il fornello.
TU avessi visto la mia stanza, un tempo!

LA FRUGOLA
Dove abitavi?

GIORGETTA
Non lo sai?

LUIGI
Belleville!

GIORGETTA
Luigi lo conosce.

LUIGI
Anch’io ci son nato.

GIORGETTA
Come me, come me l’ha nel sangue.

LUIGI
Non ci si può staccare.

GIORGETTA
Bisogna aver provato.
Belleville è il nostro suolo, è il nostro mondo.
Noi non possiamo vivere sull’acqua.
Bisogna calpestare il marciapiede.
Là c’è una casa, là ci sono amici,
festosi incontri e piene confidenze.
LUIGI
Ci si conosce tutti.
S’è tutta una famiglia.

GIORGETTA
Al mattino, Il lavoro che ci aspetta.
Alla sera, i ritorni in comitiva.
Botteghe che s’accendono
di luci e di lusinghe,
vetture che s’incrociano,
domeniche chiassose.
Piccole gite in due al bosco di Boulogne.
Balli all’aperto, l’intimità amorose.
È difficile dire cosa sia
quest’ansia, questa strana nostalgia.

GIORGETTA, LUIGI
Ma chi lascia il sobborgo vuol tornare,
e chi ritorna, chi ritorna non si può staccare.
C’è là in fondo Parigi che ci grida
con mille voci liete
il suo fascino immortal.

LA FRUGOLA
Adesso ti capisco;
qui la vita è diverso.
IL TALPA
Se s’andasse a mangiare?
(a Luigi)
Che ne dici?

LUIGI
Io resto,
ho da parlare col padrone.

IL TALPA
Quand’è così, a domani.

LA FRUGOLA
Miei vecchi, buona notte.
(S’avvia col Talpa a braccetto.)

LA FRUGOLA, IL TALPA
HO sognato una casetta
con un piccolo orticello.
Quattro muri, stretta stretta
e due pini per ombrello.
Il mio vecchio steso al sole,
ai miei piedi Caporale,
e aspettar così la morte
che è rimedio d’ogni male.
(Si odono cantare voci lontani.)

GIORGETTA
O Luigi! Luigi!
(Luigi s’avvicina a Giorgetta che con un gesto
lo ferma.)

Bada a te, può salir fra un momento.
Resta pur là, lontano.

LUIGI
Perché dunque Inasprisci Il tormento?
Perché mi chiami invano?

GIORGETTA
Vibro tutta se penso a iersera,
all’ardor dei tuoi baci!

LUIGI
In quei baci tu sai cosa c’era.

GIORGETTA
SÌ, mio amore, mio amore, ma taci.

LUIGI
Quale folle paura ti prende?

GIORGETTA
Se ci scopre, è la morte!

LUIGI
Preferisco morire,
alla sorte che ti tiene legata!

GIORGETTA
Ah, se fossimo soli, lontani.

LUIGI
E sempre uniti.
GIORGETTA
E sempre innamorati.
Dimmi che non mi manchi.

LUIGI (facendo per correre a lei)
Mai!

GIORGETTA
Sta attento!
(Apparisce Michele dalla stiva.)

MICHELE (a Luigi)
Come? Non sei andato?

LUIGI
Padrone, v’ho aspettato
perché volevo dirvi quattro parole sole;
intanto ringraziarvi d’avermi tenuto.
Poi volevo pregarvi se lo potete fare
di portarmi a Rouen e là farmi sbarcare.

MICHELE
A Rouen? Ma sei matto?
La non c’è che miseria,
ti troveresti peggio.

LUIGI
Sta bene. Allora resto.
(Michele s’avvia verso la cabina.)
GIORGETTA (a Michele)
Dove vai?

MICHELE
A preparare i lumi.

LUIGI
Buona notte, padrone.

MICHELE
Buona notte.
(Entra nella cabina.)

GIORGETTA
Dimmi:
perché gli hai chiesto di sbarcarti a Rouen?

LUIGI
Perché non posso dividerti con lui.

GIORGETTA
Hai ragione: è un tormento.
Anch’io ne son presa, anch’io la sento
ben più forte di te, questa catena.
Hai ragione:
è un tormento, è un’angoscia, una pena;
ma quando tu mi prendi,
è pur grande, è pur grande il compenso.

LUIGI
Par di rubar insieme qualche cosa alla vita.
GIORGETTA
La voluttà è più intensa!

LUIGI
È la gioia rapita fra spasimi e paure.

GIORGETTA
In una stretta ansiosa.

LUIGI
Fra grida soffocate,
e baci senza fine.

GIORGETTA
E parole sommesse.

LUIGI
E baci senza fine.

GIORGETTA
Giuramenti e promesse...

LUIGI
...d’esser soli noi.

GIORGETTA
Noi soli, via, via, lontani.

LUIGI
Noi tutti soli, lontani dal mondo.
(sussultando)
È lui?

GIORGETTA
No, non ancora.
Dimmi che tornerai più tardi.

LUIGI
Sì, fra un’ora.

GIORGETTA
Ascolta:
come ieri lascerò la passerella.
Sono io che la tolgo.
Hai le scarpe di corda?

LUIGI
Sì.
Fai lo stesso segnale?

GIORGETTA
Sì, il fiammifero acceso.
Come tremava sul braccio mio teso
la piccola fiammella.
Mi pareva d’accendere una stella,
fiamma del nostro amore,
stella senza tramonto.

LUIGI
IO voglio la tua bocca,
voglio le tue carezze.
GIORGETTA
Dunque anche tu lo senti
folle il desiderio.

LUIGI
Folle di gelosia!
Vorrei tenerti stretta come una cosa mia.
Vorrei non più soffrir, non più soffrir
che un altro ti toccasse,
e, per sottrarre a tutti
il corpo tuo divino
io te lo giuro, lo giuro
non tremo a vibrare il coltello
e con gocce di sangue
fabbricarti un gioiello.
(Luigi fugge rapidamente spinto da Giorgetta.)

GIORGETTA
Come è difficile esser felici!
(Michele, recando i fanali accesi, viene dalla cabina.)

MICHELE
Perché non vai a letto?

GIORGETTA
E tu?

MICHELE
No, non ancora.
GIORGETTA
Penso che hai fatto bene a trattenerlo.

MICHELE
Chi mai?

GIORGETTA
Luigi.

MICHELE
Forse ho fatto male.
Basteranno due uomini:
non c’è molto lavoro.

GIORGETTA
Il Tinca lo potresti licenziare -
beve sempre.

MICHELE
S’ubriaca per calmare i suoi dolori.
Ha per moglie una bagascia!
Beve per non ucciderla.
(Giorgetta appare turbata e nervosa.)
Che hai?

GIORGETTA
Son tutte queste storie
che a me non interessano.

MICHELE
(avvicinandosi a Giorgetta con commozione)
Perché, perché non m’ami più?
Perché?

GIORGETTA
TU sbagli, t’amo.
TU sei buono e onesto.
Ora andiamo a dormire.

MICHELE
TU non dormi.

GIORGETTA
Lo sai perché non dormo.
E poi là dentro soffoco.
Non posso, non posso!

MICHELE
Ora le notti son tanto fresche.
E l’anno scorso là in quel nero guscio
eravamo pur tre,
c’era il lettuccio del nostro bimbo.

GIORGETTA
Il nostro bimbo! Taci, taci!

MICHELE
TU sporgevi la mano
e lo cullavi dolcemente, lentamente,
poi sul braccio mio t’addormentavi.

GIORGETTA
Ti supplico, Michele, non dir niente.

MICHELE
Erano sere come queste.
Se spirava la brezza,
vi raccoglievo insieme nel tabarro
come in una carezza.
Sento sulle mie spalle
le vostre teste bionde.
Sento le vostre bocche
vicino alla mia bocca.
Ero tanto felice! ah, tanto felice!
Ora che non c’è più
i miei capelli grigi
sembrano un insulto
alla tua gioventù.

GIORGETTA
Ah, ti supplico, Michele,
non dir niente. Ah, no!

MICHELE
Ah, mi sembrano un insulto
alla tua gioventù.

GIORGETTA
No, calmati, Michele.
Sono stanca, non reggo, vieni.

MICHELE
Ma non puoi dormire!
Sai bene che non devi addormentarti.

GIORGETTA
Perché mi dici questo?
MICHELE
Non SO bene.
Ma so che è molto tempo che non dormi.
(Cerca di attirare Giorgetta vicino a sé.)
Resta vicino a me.
Non ti ricordi altre notti,
altri cieli ed altre lune?
Perché chiudi il tuo cuore?
Ti rammenti le ore
che volavan via su questa barca
trascinate dall’onda?

GIORGETTA
Non ricordare.
Oggi è malinconia.

MICHELE
Ah, ritorna, ritorna come allora,
ritorna ancora mia,
quando tu m’amavi,
e ardentemente mi cercavi
e mi baciavi.
Quando tu m’amavi.
Resta vicino a me! La notte è bella!

GIORGETTA
Che vuoi! S’invecchia!
Non son più la stessa.
Tu pure sei cambiato.
Diffidi, ma che credi?

MICHELE
Non lo so nemmen io.
(Da una chiesa lontana giungono i rintocchi delle ore.)
GIORGETTA
Buona notte, Michele.
Casco dal sonno.

MICHELE
E allora va pure; ti raggiungo.
(Giorgetta entra nella cabina.)
Sgualdrina!
(Michele dispone i fanali rosso, verde e
bianco, ai posti fissati sul barcone. Nel mentre
passano due ombre di amanti sulla strada.)


TENORE
Bocca di rosa fresca...

SOPRANO
E baci di rugiada...

TENORE
O labbra profumate...

SOPRANO
...o profumata sera.
C’è la luna...

TENORE
...la luna che ci spia...
SOPRANO
...a domani, mio amore!

TENORE
Domani, amante mia!

SOPRANO
A domani, mio amore!

TENORE
Domani, amante mia!
(Una cornetta lontana suona il silenzio da una
caserma. Lentamente, cautamente, Michele si
avvicina alla cabina. Tende l’orecchio.)


MICHELE
Nulla!...Silenzio!
(strisciando verso la parete e spiando nell’interno)
È là. Non s’è spogliata, non dorme.
Aspetta. Chi? Che cosa aspetta?
Chi? Chi? Forse il mio sonno.
Chi l’ha trasformata?
Qual ombra maledetta è discesa fra noi?
Chi l’ha insidiata?
Il Talpa? - Troppo vecchio.
Il Tinca forse? No, no, non pensa - beve.
E dunque chi? Luigi?
No, se proprio questa sera voleva abbandonarmi,
e m’ha fatto preghiera di sbarcarlo a Rouen.
Ma chi dunque? Chi dunque? Chi sarà?
Squarciare le tenebre!
Vedere! E serrarlo così, fra le mie mani!
E gridargli: Sei tu! Sei tu!
E gridargli: Sei tu! Sei tu!
Il tuo volto livido sorrideva alla mia pena!
Sei tu! Sei tu! Su! su! su!
Dividi con me questa catena.
Ravvolgimi con te nella tua sorte.
Giù insiem nel gorgo più profondo.
Dividi con me questa catena.
Accomuna la tua con la mia sorte.
La pace è nella morte!
(S’accascia sfibrato. La notte è buia.
Leva di tasca la pipa e l’accende.
Dopo qualche momento Luigi, che stava in attesa
del segnale sulla banchina, attraversa di corsa la
passerella e balza sul barcone.
Michele vede l’ombra, sussulta e si mette in gguato.
Riconosce Luigi, di colpo si precipita
e lo afferra alla gola.)

T’ho colto!

LUIGI
Sangue di Dio! Son preso!
MICHELE
Non gridare!
Che venivi a cercare?
Volevi la tua amante?

LUIGI
Non è vero!

MICHELE
Mentisci!
Confessa, confessa!

LUIGI
Non è vero!

MICHELE
Volevi la tua amante?

LUIGI (tirando fuori il coltello)
Ah, perdio!

MICHELE
(afferrando il braccio di Luigi e forzandolo a
lasciare il coltello)

Giù il coltello!
Non mi sfuggi, canaglia!
Anima di forzato! Verme!
Volevi andare giù, a Rouen, non è vero?
Morto ci andrai, nel fiume.

LUIGI
Assassino, assassino!
MICHELE
Confessami che l’ami.
Confessa, confessa!

LUIGI
Lascia, lascia, lasciami!

MICHELE
No, infame, infami!
Se confessi, ti lascio.

LUIGI
SI.

MICHELE
Ripeti, ripeti!

LUIGI
SÌ, l’amo.

MICHELE
Ripeti, ripeti!

LUIGI
L’amo.

MICHELE
Ripeti!

LUIGI
L’amo.
MICHELE
Ancora.

LUIGI
L’amo. Ah!
(Luigi resta aggrappato a Michele in una
suprema contorsione di morte.)


GIORGETTA (dalla cabina)
Michele! Michele!
(Apre la porta della cabina.)
Ho paura, Michele.
(Sentendo la voce di Giorgetta, Michele
rapidamente ravvolge nel tabarro il cadavere
di Luigi aggrappato a lui, e si siede. Giorgetta
s’avvicina lentamente a Michele, guardando
intorno con ansia.)


MICHELE
Avevo ben ragione; non dovevi dormire.

GIORGETTA
Son presa dal rimorso d’averti dato pena.

MICHELE
Non è nulla, i tuoi nervi.

GIORGETTA
Ecco, è questo, hai ragione.
Dimmi che mi perdoni.
Non mi vuoi più vicina?
MICHELE
Dove? Nel mio tabarro?

GIORGETTA
Sì, vicina, vicina, SÌ.
Mi dicevi un tempo:
“Tutti quanti portiamo
un tabarro che asconde
qualche volta una gioia,
qualche volta un dolore.”

MICHELE
Qualche volta un delitto.
Vieni nel mio tabarro! Vieni!
Vien!

GIORGETTA
(Michele si erge terribile: apre il tabarro, il
cadavere di Luigi rotola ai piedi di Giorgetta:
afferra Giorgetta, la trascina e la piega contro
il volto dell’amante morto.)


Ah!

Fine dell’Opera

Libretto di Giuseppi Adami

Suor Angelica

Personaggi

Suor Angelica — soprano
La zia principessa — contralto
La badessa — mezzo-soprano
La suora zelatrice — mezzo-soprano
La maestra delle novizie — mezzo-soprano
Sour Genovieffa — soprano
Suor Osmina — soprano
Suor Dolcina — soprano
La suora infermiera — mezzo-soprano
Le cercatrici — soprani, coro
Le novizie — soprani, coro
Le converse — soprano e mezzosoprano, coro

L'azione si svolge in un monastero sul finire del 1600.

L'interno di un monastero. La chiesetta e il
chiostro. Nel fondo, oltre gli archi di destra, il
cimitero; oltre gli archi di sinistra, l'orto. Nel
mezzo della scena, cipressi, una croce, erbe e
fiori. Nel fondo a sinistra, fra piante di acoro,
una fonte il cui getto ricadrà in una pila in terra.
Tramonto di primavera. Un raggio di sole batte
al disopra del getto della fonte. La scena è
vuota. Le suore sono in chiesa e cantano.


CORO (di dentro)
Ave Maria, piena di grazia,
il Signore è teco.
(Due converse, in ritardo, traversano la scena;
si soffermano un istante ad ascoltare un
cinguettìo che scende dai cipressi, quindi
entrano in chiesa.)


Tu sei benedetta fra le donne;
benedetto il frutto del ventre tuo, Gesù.
(Suor Angelica, anch'essa in ritardo, esce da
destra, si avvia in chiesa, apre la porta, fa
l'atto di contrizione delle ritardatarie che le
converse non hanno fatto: si inginocchia e
bacia la terra, quindi richiude la porta.)

Santa Maria, prega per noi peccatori.

SUOR ANGELICA (di dentro)
Prega per noi peccatori,
ora e nell’ora della nostra morte.

CORO
Prega per noi peccatori,
ora e nell’ora della nostra morte.
E così sia.

(Le suore escono dalla chiesa a due per due.
La badessa si sofferma davanti alla croce.
Le suore, passandole innanzi, le fanno atto di
reverenza. La badessa fa il gesto della benedizione e,
quando tutte le suore le sono passate davanti, si ritira.
Le suore non si sciolgono ancora, restano unite,
ormando una specie di semicerchio a piccoli gruppi.
La suora zelatrice viene nel mezzo.)


LA SUORA ZELATRICE
(alle due converse)
Sorelle in umiltà, mancaste alla quindena,
ed anche Suor Angelica,
che però fece contrizione piena.
Invece voi, sorelle, peccaste in distrazione,
e avete perso un giorno di quindena!
UNA CONVERSA
M’accuso della colpa e Invoco una gran pena,
e più grave sarà, e più grazie vi dirò,
sorella in umiltà,
(Resta in attesa della penitenza.)

LA MAESTRA DELLE NOVIZIE
(alle novizie, come spiegando)
Chi arriva tardi in coro,
si prostri e baci terra,

LA SUORA ZELATRICE
(alle converse)
Farete venti volte la preghiera mentale
per gli afflitti e gli schiavi
e per quelli che stanno in peccato mortale,

UNA CONVERSA
Con gioia e con fervore!

LE DUE CONVERSE
Cristo Signore,
Sposo d’Amore,
io voglio sol piacerti,
Sposo d’Amor,
ora e nell’ora della mia morte,
Amen.
(Si ritirano, compunte, sotto gli archi di destra.)
LA SUORA ZELATRICE
(a Suor Lucilla, porgendole l'occorrente per filare)
Suor Lucilla, al lavoro.
Ritiratevi. E osservate il silenzio.
(Suor Lucilla si ritira, filando.)

LA MAESTRA DELLE NOVIZIE
(alle due novizie)
Perché stasera in coro
ha riso e fatto ridere.

LA SUORA ZELATRICE
(a Suor Osmina)
Voi, Suor Osmina, in chiesa tenevate
nascoste nelle maniche due rose
scarlattine.

SUORE OSMINA
Non è vero!

LA SUORA ZELATRICE
Sorella, entrate in cella.
(Suor Osmina scuote le spalle.)
Non tardate! La Vergine vi guarda!
(Suor Osmina si avvia; tutti gli sguardi la
seguono sotto gli archi finché non scompare
nella sua cella.)


SEI SUORE
Regina virginum, ora pro ea.
(Suor Osmina chiude bruscamente la porta
della sua cella.)

LA SUORA ZELATRICE
Ed or, sorelle In gioia,
poiché piace al Signore
e per tornare più allegramente
a faticare per amor Suo,
ricreatevi!

LE SUORE
Amen!
(Le figure bianche delle suore si sparpagliano
per il chiostro e oltre gli archi. Suor Angelica
zappetta la terra e innaffia le erbe ed i fiori.)


SUOR GENOVIEFFA
Oh sorelle, sorelle, io voglio rivelarvi
che una spera di sole è entrata in clausura!
Guardate dove batte, là, là fra la verzura!
Il sole è sull’acoro!
Comincian le tre sere della fontana d’oro.

LE SUORE
È vero, fra un’istante vedrem l’acqua dorata.

UNA SUORA
E per due sere ancora.
LE SUORE
È Maggio! È Maggio!
È il bel sorriso di Nostra Signora
che viene con quel raggio.
Regina di Clemenza, grazie, grazie.

UNA NOVIZIA
Maestra, vi domando licenza di parlare.

LA MAESTRA DELLE NOVIZIE
Sempre per laudare le cose sante e belle.

LA NOVIZIA
Qual grazia della Vergine rallegra le sorelle?

LA MAESTRA DELLE NOVIZIE
Un segno risplendente della bontà di Dio!
Per tre sere dell’anno solamente,
all’uscire dal coro,
Dio ci concede di vedere il sole
che batte sulla fonte e la fa d’oro.

LA NOVIZIA
E l’altre sere?

LA MAESTRA DELLE NOVIZIE
O usciamo troppo presto e il sole è alto,
o troppo tardi e il sole è tramontato.
LE SUORE
Un altr’anno è passatoi
È passato un altr’anno!
E una sorella manca.
(Un silenzio doloroso è nel chiostro; le suore
assorte in un atteggiamento di muta preghiera
sembrano rievocare l'immagine della sorella
che non è più.)


SUOR GENOVIEFFA
O sorelle in pio lavoro,
quando il getto s’è infiorato,
quando il getto s’è indorato,
non sarebbe ben portato
un secchiello d’acqua d’oro
sulla tomba a Bianca Rosa?

LE SUORE
SÌ, la suora che riposa
lo desidera di certo.

SUOR ANGELICA
I desideri sono i fiori dei vivi,
non fioriscon nel regno delle morte,
perché la Madre Vergine soccorre
e in Sua benignità
liberamente al desiar precorre;
prima che un desiderio sia fiorito
la Madre delle Madri l’ha esaudito.
O sorella, la morte è vita bella!
LA SUORA ZELATRICE
Noi non possiamo nemmen da vive avere
desideri.

SUOR GENOVIEFFA
Se son leggeri e candidi, perché?
Voi non avete un desiderio?

LA SUORA ZELATRICE
Io no!

UNA SUORA
Ed io nemmeno!

UN’ALTRA SUORA
lo no!

UNA NOVIZIA
lo no!

SUOR GENOVIEFFA
lo sì, lo confesso.
(volgendo lo sguardo in alto)
Soave Signor mio,
tu sai che prima d’ora
nel mondo ero pastora.
Da cinqu’anni non vedo un agnellino;
Signore, ti rincresce
se dico che desidero
vederne uno piccino,
poterlo carezzare,
toccargli il muso fresco
e sentirlo belare?
Se è colpa, t’offerisco
il Miserere mei.
Perdonami, Signore,
Tu che sei l’Agnus Dei.

SUOR DOLCINA
Ho un desiderio anch’io!

LE SUORE
Sorella, li sappiamo i vostri desideri!
Qualche boccone buono!
Della frutta gustosa!
La gola è colpa grave!
È golosa! È golosa!
(Suor Dolcina resta mortificata ed interdetta.)

SUOR GENOVIEFFA
(che si è avvicinata in compagnia di alcune
suore a Suor Angelica)

Suor Angelica, e voi? Avete desideri?

SUOR ANGELICA
(volgendosi verso il gruppo)
Io! No, sorella, no.
(Suor Angelica si volge ancora ai fiori. Le suore
fanno gruppo dalla parte opposta e
mormorano.)

LE SUORE
Che Gesù la perdoni, ha detto una bugìa!
Ha detto una bugìa!

UNA NOVIZIA
Perché?

LE SUORE
Noi lo sappiamo, ha un grande desiderio!
Vorrebbe aver notizie della famiglia sua.
Son più di sett’anni da quando è in
monasterio,
non ha avuto più nuove.
E sembra rassegnata, ma è tanto
tormentata.
(allontanandosi sempre più da Suor Angelica)
Nel mondo era ricchissima, lo disse la badessa.
Era nobile! Nobile!
Nobile! Principessa!
La vollero far monaca sembra per punizione.
Perché? Perché?
Chi sa? Ma!? Ma!?
(Si disperdono qua e là.)

LA SUORA INFERMIERA
(accorrendo frettolosa)
Suor Angelica, sentite!
SUOR ANGELICA
O sorella Infermiera, che cosa accadde,
dite!

LA SUORA INFERMIERA
Suora Chiara là nell’orto
assettava la spalliera delle rose;
all’Improvviso, tante vespe sono uscite,
l’han pinzata qui nel viso!
Ora è in cella e si lamenta.
Ah! calmatele, sorella, il dolor che la tormenta.

LE SUORE
Poveretta! Poveretta!

SUOR ANGELICA
Aspettate, ho un’erba e un fiore.
(Corre cercando fra le erbe e i fiori.)

LA SUORA INFERMIERA
Suor Angelica ha sempre una ricetta
buona, fatta coi fiori;
sa trovar sempre un’erba benedetta
per calmare i dolori.
SUOR ANGELICA
(alla suora infermiera, porgendole un'erba)
Ecco, quest’è calenzola;
col latticelo che ne cola
le bagnate l’inflaglone;
(dandole un'altra erba)
e con questa una pozione.
Dite a Sorella Chiara che sarà molto amara,
me che le farà bene.
E le direte ancor che punture di vespe
sono piccole pene,
e che non si lamenti,
che a lamentarsi crescono i tormenti.

LA SUORA INFERMIERA
Le saprò riferire.
Grazie, sorella, grazie.

SUOR ANGELICA
Son qui per servire.
(Dal fondo a sinistra entrano due suore
cercatrici conducendo un ciuchino carico di roba.)


SUORE CERCATRICI
Laudata Maria!

LE SUORE
E sempre sia!
(Le suore attorniano il ciuchino, mentre le
suore cercatrici scaricano e consegnano le
limosine alla suora dispensiera.)

SUORE CERCATRICI
Buona cerea stasera, sorella dispensiera!

PRIMA SUORA CERCATRICE
Un otre d’olio.

SUOR DOLCINA
Uhi buono!

SECONDA SUORA CERCATRICE
Nocciole, sei collane.

PRIMA SUORA CERCATRICE
Un panierin di noci.

SUOR DOLCINA
Buone con sale e panei

LA SUORA ZELATRICE (riprendendola)
Sorella!

PRIMA SUORA CERCATRICE
Qui farinai
E qui un cacciotella che suda ancora latte,
buona come una pasta;
e un sacchetto di lenti,
dell’uova, burro e basta.

LE SUORE
Buona cerca stasera, sorella dispensiera!
(La seconda suora cercatrice porta via il ciuchino.)

PRIMA SUORA CERCATRICE
(a Suor Dolcina)
Per VOI, sorella ghiotta...

SUOR DOLCINA
Un tralcetto di ribes!
Degnatene, sorelle!

LE SUORE
Grazie! Grazie!

UNA SUORA
Uh! Se ne prendo un chicco, la martorio!

SUOR DOLCINA
NO, prendete!

LE SUORE
Grazie! Grazie!
(Formano un gruppetto a destra e beccano il
ribes fra risatine discrete.)


PRIMA CERCATRICE
Chi è venuto stasera in parlatorio?

LE SUORE
Nessuno. Nessuno. Perché?
PRIMA SUORA CERCATRICE
Fuor del portone c’è fermata una ricca
berlina.

SUOR ANGELICA
(volgendosi alla sorella cercatrice,
come assalita da un’improvvisa inquietudine)

Come, sorella, avete detto?
Una berlina è fuori?
Ricca? ricca? ricca?

PRIMA SUORA CERCATRICE
Da gran signori.
Certo aspetta qualcuno che è entrato nel
convento,
e forse fra un momento
suonerà la campana a parlatorio.

SUOR ANGELICA
Ah, ditemi, sorella, com’era la berlina?
Non aveva uno stemma, uno stemma d’avorio?
E dentro tappezzata d’una seta turchina
ricamata in argento?

PRIMA SUORA CERCATRICE
lo non so, sorella, non lo so;
ho veduto soltanto una berlina, bella!
LE SUORE
(osservando curiosamente Suor Angelica)
È diventata bianca.
Ora è tutta vermigliai
Poverina! È commossa!
È commossa! Poverina!
Spera che sian persone di famiglia!
(Suona una campanella. Le suore accorrono
da ogni parte.)

Vien gente in parlatorio!
Una visita viene!
Per chi? Per chi? Per chi?
Per chi sarà?

UNA SUORA
Fosse per me!
Fosse la mia cugina
che porta il seme di lavanda buono.

UN’ALTRA SUORA
Per me! Fosse mia madre
che ci porta le tortorine bianche.
(Suor Genovieffa si avvicina alle compagne,
indicando con un gesto pietoso Suor Angelica.)


SUOR ANGELICA
(volgendo gli occhi al cielo)
O madre eletta, leggimi nel cuore.
Volgi per me un sorriso al Salvatore.
SUOR GENOVIEFFA
(a Suor Angelica)
O sorella In amore,
noi preghIam la Stella delle Stelle
che la visita adesso sia per voi.

SUOR ANGELICA
Buona sorella, grazie, grazie.
(Entra la badessa.)

LA BADESSA
Suor Angelica!
(La badessa fa cenno alle suore che si ritirino;
queste si avviano, scorgono che la fontana si è
fatta d’oro, prendono un secchiolino d’acqua,
si dirigono verso il cimitero e scompaiono.)


SUOR ANGELICA
Madre, Madre, parlate! Chi è? Chi è?
Madre, parlate! Son sett’anni che aspetto,
che aspetto una parola, uno scritto.
Tutto ho offerto alla Vergine in piena
espiazione.

LA BADESSA
Offritele anche l’ansia che adesso vi scompone.
(Suor Angelica, affranta, si curva lentamente in
ginocchio e si raccoglie.)

LE SUORE (dal cimitero)
Requiem aeternam dona eis, Domine:
et lux perpetua lueeat eis.
Requieseat in pace.
Amen. Amen.

SUOR ANGELICA
Madre, sono serena sottomessa.

LA BADESSA
È venuta a trovarvi vostra zia Principessa.

SUOR ANGELICA
Ah!

LA BADESSA
In parlatorio si dica quanto vuole ubbidienza,
necessità.
Ogni parola è udita dalla Vergine Pia.

SUOR ANGELICA
La Vergine m’ascolti e così sia.
(La badessa si incammina verso la porticina
del parlatorio. Suor Angelica si rialza e si avvia
verso gli archi del parlatorio. La porticina
viene aperta in dentro dalla suora clavaria che
rimarrà a fianco della porta aperta. Siamo
adesso nel parlatorio. Passa davanti alla
badessa e la suora clavaria una figura nera
severamente composta in un naturale
atteggiamento di grande dignità aristocratica;
è la zia Principessa. Entra, cammina

lentamente appoggiandosi a un bastoncino
d’ebano. Si sofferma; getta per un attimo lo
sguardo sulla nipote, freddamente e senza
tradire nessuna emozione. Suor Angelica alla
vista della zia è presa da grande emozione,
ma si frena, perché si scorgono ancora
nell’ombra la badessa e la suora clavaria. La
porticina si richiude sulle due suore. Suor
Angelica, commossa, quasi vacillante, va
incontro alla zia, ma la vecchia protende la
sinistra come per consentire soltanto all’atto
sottomesso del baciamano. Suor Angelica
prende la mano che le viene tesa, la porta alle
labbra e, mentre la zia siede, ella cade in
ginocchio. Suor Angelica non toglie mai lo
sguardo dal volto della zia, uno sguardo
pietoso, implorante. La vecchia invece,
ostentatamente, guarda avanti a sé.)


LA ZIA PRINCIPESSA
Il Principe Gualtiero vostro padre,
la Principessa Clara vostra madre,
quando vent’anni or sono vennero a morte,
(si interrompe per farsi il segno della croce)
m’affidarono i figli e tutto il patrimonio
di famiglia.
Io dovevo dividerlo quando ciò ritenessi
conveniente
e con giustizia piena.
E quanto ho fatto.
Ecco la pergamena. Voi potete osservarla,
discuterla, firmarla.

SUOR ANGELICA
Dopo sett’anni son davanti a voi.
Ispiratevi a questo luogo santo.
È luogo di clemenza, è luogo di pietà.

LA ZIA PRINCIPESSA
Di penitenza.
IO debbo rivelarvi la ragione
perché addivenni a questa divisione.
Vostra sorella Anna Viola anderà sposa.

SUOR ANGELICA
Sposa?! Sposa la piccola Anna Viola?
La sorellina, la piccina?
Ah! ah! son sett’anni!
Son passati sett’anni! Ah! ah!
O sorellina bionda che vai sposa,
O sorellina mia, tu sia felice!
E chi la ingemma?

LA ZIA PRINCIPESSA
Chi per amore condonò la colpa
di cui macchiaste il nostro bianco stemma.
SUOR ANGELICA
Sorella di mia madre, voi siete inesorabile!

LA ZIA PRINCIPESSA
Che dite? E che pensate?
Inesorabile! Inesorabile!
Vostra madre invocate quasi contro di me?
Contro di me!
Vostra madre invocate quasi contro di me?
Di frequente, la sera, là, nel nostro oratorio,
Io mi raccolgo.
Nel silenzio di quei raccoglimenti,
il mio spirito par che s’allontani
e s’incontri con quel di vostra madre
in colloqui eterei, arcani.
Com’è penoso, com’è penoso
udire i morti dolorare e piangere!
Quando l’estasi mistica scompare
per voi ho serbata una parola sola:
Espiare! espiare!
Offritela alla Vergine la mia giustizia.

SUORA ANGELICA
Tutto ho offerto alla Vergine, sì, tutto.
Ma v’è un’offerta che non posso fare;
alla Madre soave delle Madri,
non posso offrire di scordar mio figlio!
Mio figlio! Mio figlio, il figlio mio!
Figlio mio!
La creatura che mi fu, mi fu strappata!
Figlio mio,
che ho veduto e ho baciato una sol volta!
Creatura mia! Creatura mia lontana!
È questa la parola che invoco da sett’anni!
Parlatemi di lui!
Com’è, com’è mio figlio?
Com’è dolce il suo volto?
Come sono i sui occhi?
Parlatemi di lui!
Di mio figlio!
Parlatemi di lui!
(La vecchia tace.)
Perché tacete?
Perché, perché?
Un altro istante di questo silenzio
e vi dannate per l’eternità!
La Vergine ci ascolta e Lei vi giudica!

LA ZIA PRINCIPESSA
Or son due anni venne colpito da fiero morbo.
Tutto fu fatto per salvarlo.
SUOR ANGELICA
È morto?
(La zia curva il capo e tace.)
Ah!
(Suor Angelica cade di schianto a terra. La zia
si alza come per soccorrerla, credendola
svenuta; ma, al singhiozzare di Suor Angelica,
frena il suo movimento.
Si volge verso un'immagine sacra che è al
muro e con le due mani appoggiate al
bastoncino, la testa curva, in silenzio prega.
Nel parlatorio è già la semioscurità della sera.
Entra la suora clavaria con una lucernina ad
olio che pone sul tavolo. La zia si volge e parla
sottovoce alla suora clavaria. La suora esce e
ritorna colla badessa recando una tavoletta
con un calamaio e una penna. Suor Angelica
ode entrare le due suore, si volge, comprende,
in silenzio si trascina verso il tavolo e firma la
pergamena. Le due suore escono. La zia
Principessa prende la pergamena, si avvicina a
Suor Angelica, ma questa fa un leggero
movimento per ritrarsi. Allora la zia procede
verso la porta, batte col bastoncino. La suora
clavaria apre, entra, prende il lume, va avanti;
la Principessa la segue; di sulla soglia volge
uno sguardo alla nipote; esce, scompare; la
suora clavaria richiude la porta. La sera è
calata; nel cimitero le suore vanno
accendendo i lumini sulle tombe.)

Senza mamma, O bimbo, tu sei morto.
Le tue labbra senza i baci miei,
scoloriron fredde, fredde,
e chiudesti, O bimbo, gli occhi belli.
Non potendo carezzarmi,
le manine componesti in croce.
E tu sei morto senza sapere
quanto t’amava questa tua mamma.
Ora che sei un angelo del cielo,
ora tu puoi vederla, la tua mamma.
Tu puoi scendere giù pel firmamento
ed aleggiare intorno a me ti sento.
Sei qui, sei qui, mi baci e m’accarezzi.
Ah! dimmi quando in ciel potrò vederti?
Quando potrò baciarti?
Oh! dolce fine d’ogni mio dolore!
Quando in cielo con te potrò salire?
Quando potrò morire?
Quando potrò morire, potrò morire?
Dillo alla mamma, creatura bella
con un leggero scintillar di stella.
Parlami, parlami, amore, amore, amor!
(Le suore escono dal cimitero e si avvicinano a
Suor Angelica, attorniandola.)

SUOR GENOVIEFFA
Sorella, O buona sorella,
la Vergine ha accolto la prece.

LE SUORE
Sarete contenta, sorella,
la Vergine ha fatto la grazia.

SUOR ANGELICA
La grazia è discesa dal cielo,
già tutto, già tutto s’accende,
risplende, risplende.
Già vedo, sorelle, la meta.

LE SUORE
E così sia.

SUOR ANGELICA
Sorelle, son lieta, son lieta!
Cantiamo!
Già in cielo si canta.
Lodiamo la Vergine Santa!

LE SUORE
Cantiamo! Già in cielo si canta.
E così sia.
(Si ode dal fondo il segnale delle tavolette. Le
suore si avviano verso le celle; ciascuna suora
apre l’uscio della cella, entra e richiude.)

Lodiamo la Vergine Santa!
Lodiamo la Vergine Santa!
SUOR ANGELICA
Ah, lodiaml

LE SUORE
Amen.

SUOR ANGELICA (dalla cella)
La grazia è discesa dal cielo.
(È notte. Si vedono le stelle sulla chiesetta, e
la luna dà sui cipressi. Suor Angelica esce
dalla cella; ha nelle mani una ciotola di terra
cotta. Depone la ciotola, prende dei sassi e
forma con essi un piccolo fornello; raccoglie
sterpi e rami e ne fa un fastelletto che depone
fra i sassi. Va verso la fonte e riempie d’acqua
la ciotola, poi coll’acciarino accende il
fuocherello e vi pone la ciotola a bollire. Va
cercando fra le erbe e i fiori.)

Suor Angelica ha sempre una ricetta
buona fatta coi fiori.
Amici fiori, che nel piccol seno
racchiudete le stille del veleno,
ah, quante cure v’ho prodigate.
Ora mi compensate.
Per voi, miei fior, io morirò.
(Si volge verso le celle.)
Addio, buone sorelle, addio, addio!
Vi lascio per sempre.
M’ha chiamata mio figlio.
Dentro un raggio di stelle
m’è apparso il suo sorriso,
m’ha detto: Mamma, vieni in Paradiso!
Addio! Addio!
Addio, chiesetta! In te quant’ho pregato.
Buona accoglievi preghiere e pianti.
È discesa la grazia benedetta!
Muoio per lui e in cielo lo rivedrò.
Ah!
(Abbraccia la croce, la bacia, si curva, prende
la ciotola e beve il veleno; quindi si appoggia a
un cipresso e lascia cadere a terra la ciotola.
Le nubi coprono la luna; la scena è oscura.
L’atto del suicidio la riconduce alla verità.)


Ah, son dannata!
Mi son data la morte, mi son data la morte!
Io muoio, muoio in peccato mortale!
(Si getta disperatamente in ginocchio.)
O Madonna, Madonna, salvami, salvami.
Per amor di mio figlio!

CORO (interno, lontano)
Regina Virginum, salve, Maria!

SUOR ANGELICA
Ho smarrita la ragione!
CORO
Mater castissima, salve, Maria!

SUOR ANGELICA
Non mi fare morire in dannazione!

CORO
Regina pacis, salve, Maria!

SUOR ANGELICA
Dammi un segno di grazia,
dammi un segno di grazia,
Madonna! Madonna! Salvami! Salvami!
(Il miracolo s’inizia. La chiesetta appare come
gonfia di luce. La porta della chiesa si schiude
lentamente e si vedrà la chiesa gremita di angeli.)


CORO
O gloriosa virginum,
Sublimis inter sidera.
Qui te creavit, parvulum,
Lactente nutris ubere.

SUOR ANGELICA
O Madonna, salvami!
Una madre ti prega, una madre t’implora!
O Madonna, salvami!

CORO
Quod Heva tristis abstulit,
Tu reddis almo germine:
intrent ut astra flebiles,
Coeli reeludis eardines.
Gloriosa virginum, salve, Maria!
(Sulla porta apparirà la Regina del conforto, e
avanti a lei un bimbo biondo, tutto bianco. La
vergine sospingerà il bimbo verso la moribonda.)


SUOR ANGELICA
Ah!

CORO
Regina Virginum!

SUOR ANGELICA
Ah!

CORO
Virgo fidelis! Saneta Maria!
Gloriosa virginum! Salve, Maria!
(Il bimbo muove il primo passo.)
Mater purissima! Salve, Maria!
(Il bimbo muove il secondo passo.)
Turris davidica! Salve, Maria!
(Il bimbo muove il terzo passo. Suor Angelica
cade dolcemente riversa e muore. Il miracolo
sfolgora.)


Fine dell’opera

Libretto di Gioachino Forzano

Gianni Schicchi

Personaggi

Gianni Schicchi (age 50) — baritono
Lauretta, sua figlia (age 21) — soprano
I parenti di Buoso Donati:
Zita detta "La Vecchia", cugina di Buoso (age 60) — contralto
Rinuccio, nipote di Zita (age 24) — tenore
Gheraldo, nipote di Buoso (age 40) — tenore
Nella, sua moglie (age 34) — soprano
Gheraldino, loro figlio (age 7) — soprano or treble
Betto Di Signa, cognato di Buoso, povero e malvestito, età indefinibile — bass
Simone, cugino di Buoso (age 70) — bass
Marco, suo figlio (age 45) — baritono
La Ciesca, moglie di Marco (age 38) — mezzo-soprano
Maestro Spinelloccio, medico — basso
Messer Amantio Di Nicolao, notaro — baritono
Pinellino, calzolaio — basso
Guccio, tintore — basso

L’azione si volge nel 1299 a Firenze.

La camera da letto di Buoso Donati. A sinistra
la porta d’ingresso; oltre un pianerottolo e la
scala; quindi una finestra a vetri fino a terra
per cui si accede al terrazzo con la ringhiera
di legno che gira esternamente la facciata
della casa. Nel fondo a sinistra un finestrone
da cui si scorge la torre di Arnolfo. Sulla
parete di destra una scaletta di legno conduce
ad un ballatoio su cui trovansi uno stipo e una
porta. Sotto la scala un’altra porticina. A
destra, nel fondo, il letto. Ai lati del letto
quattro candelabri con quattro ceri accesi.
Davanti al letto un candelabro a tre candele
spento. Le sarge del letto, semichiuse,
lasciano intravedere un drappo rosso che
ricopre un corpo. I parenti di Buoso sono in
ginocchio, intorno al letto, in atto di preghiera.
Gherardino è a sinistra, vicino alla parete; è
seduto in terra, volta le spalle ai parenti e si
diverte a far ruzzolare delle palline di legno.
Luce di sole e luce di candele; sono le nove
del mattino.


I parenti di Buoso sussurrano una
preghiera, mentre Marco, la vecchia Zita e la
Ciesca si lamentano addolorati.

ZITA
Povero Buoso!

SIMONE
Povero cugino!

RINUCCIO
Povero zio!

LA CIESCA, MARCO
Oh, Buoso!

NELLA, GHERARDO
Buoso!

BETTO
O cognato! O cogna-
(Gherardino butta in terra una sedia, e i
parenti, colla scusa di zittire Gherardino,
zittiscono Betto.)


TUTTI
Sciii!

GHERARDO
Io piangerò per giorni e giorni!
(a Gherardino che lo tira per le vesti e gli dice
qualcosa all’orecchio)

Sciò!

NELLA
Giorni? Per mesi!
(a Gherardino)
Sciò!
LA CIESCA
Mesi? Per anni ed anni!

ZITA
Ti piangerò tutta la vita mia!

LA CIESCA, MARCO
Povero Buoso!

ZITA (allontanando Gherardino)
Portatecelo voi, Gherardo, via!
(Gherardo si alza, prende il figliolo per un
braccio e a strattoni lo porta via dalla
porticina di sinistra.)


ZITA, LA CIESCA, RINUCCIO, MARCO, SIMONE
Oh, Buoso, Buoso,
tutta la vita
piangeremo la tua dipartita.

LA CIESCA
Piangerem...

RINUCCIO
Piangerem.

ZITA
Buoso, Buoso!

LA CIESCA
...tutta la vita.
(Tutti ripigliano a pregare, meno Betto e Nella
che si parleranno all'orecchio.)

NELLA
Ma come? Davvero?

BETTO
Lo dicono a Signa.

RINUCCIO (a Nella)
Che dicono a Signa?

NELLA
Si dice che...
(Parla all'orecchio di Pinuccio.)

RINUCCIO
Giaaaa?!

BETTO
Lo dicono a Signa.

LA CIESCA (a Betto)
Che dicono a Signa?

BETTO
Si dice che...
(Parla piano a Ciesca.)

LA CIESCA
Nooooo!?
Marco, lo senti, che dicono a Signa?
Si dice che...
(Parla piano all'orecchio di Marco.)
MARCO
Eeeeeh?!

ZITA
Ma insomma possiamo sapere...

BETTO
Lo dicono a Signa.

ZITA
...che diamine dicono a Signa?

BETTO
Ci son delle voci,
dei mezzi discorsi.
Dicevan iersera
dal Cisti fornaio;
“Se Buoso crepa, pei frati è manna.
Diranno; Pancia mia, fatti capanna!”
E un altro; “Sì, sì, sì, nel testamento
ha lasciato ogni cosa ad un convento.”

SIMONE
Ma che?! Chi lo dice?

BETTO
Lo dicono a Signa.

SIMONE
Lo dicono a Signa???
GLI ALTRI
Lo dicono a Slgna.
(I parenti sono sempre in ginocchio, ma non
pensano più alle preghiere e si guardano l’un
l’altro, sorpresi.)


GHERARDO
O Simone?

LA CIESCA
Simone?

ZITA
Parla tu, se’ il più vecchio.

MARCO
Tu se’ anche stato podestà a Fucecchio.

ZITA
Che ne pensi?

MARCO
Che ne pensi?

SIMONE (dopo aver riflettuto)
Se il testamento è in mano d’un notaio,
chi lo sa? Forse è un guaio!
Se però ce l’avesse
lasciato in questa stanza,
guaio pei frati, ma per noi: speranza.
GLI ALTRI
Guaio pel frati, ma per noi; speranza.
(Tutti si alzano di scatto.)

RINUCCIO (a parte)
O Lauretta, amore mio,
sperlam nel testamento dello zio!
(Ricerca febbrile. Betto adocchia un piatto
d’argento sul quale vi è uno stile e un paio di
forbici, pure d’argento. Cautamente guardingo
allunga una mano per agguantare il contenuto
del piatto, ma un falso allarme di Simone lo disturba.)


SIMONE
Ah!
(Tutti si voltano; Betto fa il distratto. Simone
guarda meglio una pergamena.)

No. Non è.
(Si riprende la cerca; Betto agguanta le forbici
e lo stile, le striscia al panno della manica e li
mette in tasca. Ora tenta di trafugare il piatto;
allunga la mano, ma un falso allarme di Zita fa
voltare tutti.)


ZITA
Ah!
(cacciando la testa nello stipo)
No. Non c’è.
(Si riprende più affannosamente la cerca. I
parenti, inferociti, non sanno più dove cercare;
buttano all’aria tutto nella camera; rovistano i
cassetti, le credenze, le cassapanche, sotto il
letto. Le pergamene, le carte volano per l’aria.
Rinuccio, che è salito allo stipo in cima alla
scala, riesce ad aprirlo.)


MARCO
Dove sia?

SIMONE, BETTO
NO, non c’è!

RINUCCIO
Salvati! Salvati!
Il testamento di Buoso Donati.
(Tutti accorrono colle mani protese per
afferrare il testamento. Ma Rinuccio mette il
rotolo di pergamena nella sinistra e protende
la destra come per fermare lo slancio dei
parenti.)


Zia, l’ho travato io!
come compenso, dimmi se lo ZÌO,
povero zio,
m’avesse lasciato bene bene,
se tra poco si fosse tutti ricchi,
in un giorno di festa come questo,
mi daresti il consenso di sposare
la Lauretta, figliola dello Schicchi?
Mi sembrerà più dolce il mio redaggio
potrei sposarla per Calendimaggio.

BETTO
Ma sì!

GHERARDO
Ma sì!

LA CIESCA, MARCO, SIMONE
Ma sì!

NELLA, GHERARDO
C’è tempo a riparlarne.

RINUCCIO
Potrei sposarla per Calendimaggio.

GHERARDO, MARCO
Qui, presto il testamento!

LA CIESCA
Lo vedi che si sta
colle spine sotto i piedi?

RINUCCIO (dando il testamento alla Zita)
Zia!

ZITA
Se tutto andrà come si spera,
sposa chi vuoi, sia pure la versiera!
RINUCCIO
Ah! Io zio mi voleva tanto bene,
m’avrà lasciato colle tasche piene!
(a Gherardino che è tornato ora in scena)
Corri da Gianni Schicchi,
digli che venga qui colla Lauretta;
c’è Rinuccio di Buoso che l’aspetta.
(dandogli due monete)
A te, due popolini;
comprati confortini.
(Gherardino corre via. La Zita va al tavolo e vi
si siede: i parenti la seguono e l’attorniano. La
Zita cerca le forbici per tagliare i nastri del
rotolo; non trova le forbici. Guarda intorno i
parenti, sospettosa. La Zita strappa il nastro
colle mani ed apre: appare una seconda
pergamena che avvolge ancora il testamento.)


ZITA (leggendo)
“Ai miei cugini Zita e Simone.”

SIMONE
Povero Buoso!

ZITA
Povero Buoso!
(In un impeto di riconoscenza Simone accede
le tre candele del candelabro spento.)

SIMONE
Tutta la cera tu devi avere!
Insin’in fondo si deve struggere.
SÌ, godi, godi!
Povero Buoso!

I PARENTI
Povero Buoso!
Se m’avesse lasciato questa casa!
E i muligni di Signa!
Poi la mula!
Se m’avesse lasciato...
...la mula e i muligni di Signa!
I muligni di Signa!
La mula, i muli -

ZITA
Zitti!
È aperto.
(La Zita è in mezzo col testamento in mano;
ha dietro a sé un grappolo umano. Tutti i visi
sono assorti nella lettura. A un tratto i visi si
cominciano a rannuvolare, arrivando poco a
poco ad una espressione tragica. La Zita si
abbandona su di una sedia, lasciando cadere
a terra il testamento. Simone spegne le tre
candele. Cala le sarge del letto e spegne gli
altri candelabri. Gli altri parenti vanno
ciascuno a cercare una sedia, una
cassapanca e vi si sprofondano, muti, gli occhi
sbarrati, fissi.)

SIMONE
Dunque era vero! Noi vedremo i frati
ingrassare alla barba dei Donati!

LA CIESCA
Tutti quei bei fiorini accumulati
finire nelle tonache dei frati!

MARCO
Privare tutti noi d’una sostanza,
e i frati far sguazzar nell’abbondanza.

BETTO
lo dovrò misurarmi il bere a Signa,
e i frati beveranno il vin di vigna!

ZITA, LA CIESCA, NELLA
Si faranno slargar spesso la cappa,
noi schianterem di bile, e loro, pappa!

RINUCCIO
La mia felicità sarà rubata
dall’“Opera di Santa Reparata”!

GHERARDO
Aprite le dispense dei conventi!
Allegri, frati, ed arrotate i denti!
ZITA
Eccovi le primizie di mercato!
Fate schioccar la lingua col palato!
A voi, poveri frati; tordi grassi!

SIMONE
Quaglie pinate!

NELLA
Lodole!

GHERARDO
Ortolani!

ZITA
Beccafichi!

SIMONE
Quaglie pinate!
Oche ingrassate!

ZITA
Ortolani!

BETTO
E galletti!

LA CIESCA, NELLA, RINUCCIO, GHERARDO
Galletti?

TUTTI
Gallettini!
RINUCCIO
Galletti di canto tenermi!

ZITA, MARCO
E colle facce rosse e ben pasciute,
ridetevi di noi: ah! ah! ah! ah!

SIMONE, BETTO
E colle facce ben pasciute,
schizzando dalle gote la salute:

LA CIESCA, NELLA, GHERARDO, poi anche
RINUCCIO
Lodole e gallettini!
Eccolo là un Donati!

TUTTI
Ah! ah! ah! Eccolo là!
Eccolo là un Donati!
Ah! ah! Ah! Eccolo là!
E la voleva lui l’eredità!
Ridete, o frati,
ridete alla barba dei Donati!
Ah! ah! ah! ah!

ZITA
Chi l’avrebbe mai detto
che quando Buoso andava al cimitero,
si sarebbe pianto per davvero!
(Lentamente ognuno cerca di nuovo una sedia
per cadervi sopra.)


ZITA, LA CIESCA, NELLA
E non c’è nessun mezzo...
SIMONE, BETTO
...per cambiarlo?

ZITA, MARCO
...per girarlo?

GHERARDO
...addolcirlo?

MARCO
O Simone, Simone?

ZITA
Tu sei il più vecchio.

MARCO
Tu se’ anche stato podestà a Fucecchio.
(Simone fa un cenno come per dire che è
impossibile trovare un rimedio.)


RINUCCIO
C’è una persona sola che ci può consigliare,
forse salvare.

GLI ALTRI
Chi?

RINUCCIO
Gianni Schicchi.

GLI ALTRI
Oh!
ZITA
Dì Gianni Schicchi, della figliola,
non vo’ sentirne parlar mai più.
E intendi bene.

GHERARDINO (entrando di corsa)
È qui che viene.

I PARENTI
Chi?

GHERARDINO
Gianni Schicchi!

ZITA
Chi l’ha chiamato?

RINUCCIO
Io l’ho mandato
perché speravo -

I PARENTI
È proprio il momento
d’aver Gianni Schicchi fra i piedi! ecc.

ZITA
Ah! bada! se sale,
gli fo ruzzolare le scale!

GHERARDO
(a Gherardino, sculacciandolo)
Tu devi obbedire soltanto a tuo padre:
là, là!
(Lo caccia nella stanza in cima alla scala.)

SIMONE
Un Donati sposare la figlia d’un villano!

ZITA
D’uno sceso a Firenze dal contado!
Imparentarsi colla gente nova!
Io non voglio che venga!
Non voglio!

RINUCCIO
Avete torto.
È fine, astuto.
Ogni malizia di leggi e codici
conosce e sa.
Motteggiatore! Beffeggiatore!
C’è da fare una beffa nuova e rara?
È Gianni Schicchi che la prepara.
Gli occhi furbi gli illuminan di riso
lo strano viso,
ombreggiato da quel suo gran nasone
che pare un torrachione per così.
Vien dal contado? Ebbene, che vuol dire?
Basta con queste ubbie grette e piccine!
Firenze è come un albero fiorito,
che in piazza dei Signori ha tronco e fronde,
ma le radici forze nuove apportano
dalle convalli limpide e feconde.
E Firenze germoglia ed alle stelle
salgon palagi saldi e torri snelle!
L’Arno, prima di correre alla foce,
canta baciando piazza Santa Croce,
e il suo canto è sì dolce e sì sonoro
che a lui son scesi i ruscelletti in coro.
Così scendonvi dotti in arti e scienze
a far più ricca e splendida Firenze.
E di Val d’Elsa giù dalle castella
ben venga Arnolfo a far la torre bella.
E venga Giotto dal Mugel selvoso,
e il Medici mercante coraggioso.
Basta con gli odi gretti e coi ripicchi!
Viva la gente nova e Gianni Schicchi!
(Si bussa alla porta.)
È lui!
(Apre la porta; entra Gianni Schicchi seguito
da Lauretta.)


GIANNI SCHICCHI
(Si sofferma sulla porta, guardando
meravigliato la fila desolata dei parenti.)

Quale aspetto sgomento e desolato!...

RINUCCIO
Lauretta!

LAURETTA
Rino!

GIANNI SCHICCHI
...Buoso Donati, certo, è migliorato!

RINUCCIO
Amore mio!

LAURETTA
Perché sì pallido?

RINUCCIO
Ahimè, lo zio...

LAURETTA
Ebbene, parla.

RINUCCIO
Amore, amore,
quanto dolore.

LAURETTA
Quanto dolore.
(Schicchi avanza lentamente nella camera e
vede i candelabri intorno al letto.)

SCHICCHI (fra sé)
Ah! andato?
Perché stanno a lagrlmare?
Tl recitano meglio d’un giullare!
(forte)
Ah! comprendo il dolor di tanta perdita.
Ne ho l’anima commossa.

GHERARDO
Eh! la perdita è stata proprio grossa!

SCHICCHI
Eh! son cose...
Mah! Come si fa!
In questo mondo
una cosa si perde,
una si trova,
si perde Buoso,
ma c’è l’eredità!

ZITA
Sicuro! Ai frati!

SCHICCHI
Ah! Diseredati?

ZITA
Diseredati!
Sì, sì, diseredati!
E perciò ve lo canto;
pigliate la figliuola,
levatevi di torno,
io non do mio nipote
ad una senza dote!

RINUCCIO
O zia, io l’amo, l’amo!

LAURETTA
Babbo, babbo, lo voglio!

SCHICCHI
Figliola, un po’ d’orgoglio!

ZITA
Non me n’importa un corno!

SCHICCHI
Brava la vecchia! Brava! Per la dote
sacrifichi mia figlia e tuo nipote!
Brava la vecchia! Brava!
Vecchia taccagna! stillina!
sordida! spilorcia! gretta!
(tirando Lauretta a sinistra)
Ah! vieni, vieni!
Un po’ d’orgoglio! vieni, vieni!

LAURETTA
Rinuccio, non lasciarmi!
L’hai giurato sotto la luna a Fiesole!
L’hai giurato quando tu m’hai baciato!
No, non lasciarmi!
No, non lasciarmi, Rinuccio, no!

RINUNCIO
Lauretta mia, ricordati,
tu m’hai giurato amore!
E quella sera Fiesole
sembrava tutto un fiore.
Ricordati, ricordati,
amore, amore.

ZITA
Anche m’insulta!
Senza la dote non do,
non do il nipote, non do il nipote!
Rinuccio, vieni, lasciali andare.
Sarebbe un volerti rovinare!
Vieni, vieni.

LAURETTA, RINUCCIO
Addio, speranza bella,
s’è spento ogni tuo raggio,
non ci potrem sposare
per il Calendimaggio.

SCHICCHI
Ah! vieni, Lauretta, vieni,
rasciuga gli occhi,
sarebbe un parentado
di pintocchi.
Un po’ d’orgoglio!
Ah! vieni, vieni!
ZITA
Ma vieni! Rinuccio, vieni,
ma vieni, vieni,
lasciali andare.
Via, via di qua!

I PARENTI
Anche le dispute fra innamorati!

LAURETTA
Babbo, lo voglio!

RINUCCIO
O Zia, la voglio!

ZITA
Ed io non voglio!

SCHICCHI
Un po’ d’orgoglio!

I PARENTI
Proprio il momento!
Pensate al testamento!

SCHICCHI
Vecchia taccagna, gretta, sordida...

I PARENTI
Pensate al testamento!
ZITA
Ma vieni, vieni!

SCHICCHI
...spilorcia, via!

LAURETTA, RINUCCIO
Amore!

SCHICCHI
Via di qua! Ah, vieni, vieni!

ZITA
NO, no, non voglio!
Via di qua!

I PARENTI
Pensate al testamento!

LAURETTA, RINUCCIO
Amore!

ZITA
No! no! no!

SCHICCHI
Vien! vien! vien!

RINUCCIO (fermando Schicchi)
Signor Giovanni, rimanete un momento.
(alla Zita)
Invece di sbraitare dategli il testamento.
(allo Schicchi)
Cercate di salvarci!
A voi non può mancare
un’idea portentosa, una trovata,
un rimedio, un ripiego, un espediente!

SCHICCHI
A pro di quella gente?
Niente! niente! niente!

LAURETTA
(in ginocchio, dinanzi a Gianni Schicchi)
O mio babbino caro,
mi piace, è bello, bello;
vo’ andare in Porta Rossa
a comperar l’annello!
SÌ, sì, ci voglio andare!
E se l’amassi indarno,
andrei sul Ponte Vecchio,
ma per buttarmi in Arno!
Mi struggo e mi tormento!
O dio, vorrei morir!
Babbo, pietà, pietà!
Babbo, pietà, pietà!

SCHICCHI
Datemi il testamento!
(Rinuccio dà il testamento a Gianni; questi
passeggia, in su e in giù, assorto nella lettura.
I parenti lo seguono cogli occhi, poi

inconsciamente finiscono coll'andargli dietro.
Schicchi si arresta di colpo.)

Niente da farei

LAURETTA, RINUCCIO
Addio, speranza bella,
dolce miraggio;
non ci potrem sposare
per il Calendimaggio!
(Gianni Schicchi riprende a passeggiare
leggendo più attentamente il testamento.)


SCHICCHI (s'arresta di botto)
Niente da farei

LAURETTA, RINUCCIO
Addio, speranza bella,
s’è spento ogni tuo raggio.

SCHICCHI
Però!...

LAURETTA, RINUCCIO
Forse ci sposeremo per il Calendimaggio!
(I parenti circondano Schicchi, guardandolo
con grande ansietà. Lo Schicchi, immobile nel
mezzo della scena, gesticola parcamente,
guardando innanzi a sé. A poco a poco il suo
viso diventa sorridente, trionfante.)

I PARENTI
Ebbene?

SCHICCHI
Laurettina, va sul terrazzino;
porta i minuzzolini all’uccellino.
(fermando Rinuccio che vuole seguire Lauretta)
Sola.
(Appena Lauretta è uscita. Schicchi si rivolge
ai parenti.)

Nessuno sa che Buoso ha reso il fiato?

I PARENTI
Nessuno.

SCHICCHI
Bene!
Ancora nessuno deve saperlo.

I PARENTI
Nessuno saprà.

SCHICCHI
E i servi?

ZITA
Dopo l’aggravamento,
in camera, nessuno.

SCHICCHI (a Marco e Gherardo)
Voi due portate il morto e i candelabri
là dentro nella stanza dirimpetto.
Donne, rifate il letto!

ZITA, LA CIESCA, NELLA
Ma -

SCHICCHI
Zitte, obbedite!
(Marco e Gherardo scompariscono fra le sarge
del letto e ricompaiono con un fardello rosso
che portano nella camera di destra. Simone,
Betto e Rinuccio portano via i candelabri, e le
donne cominciano a ravviare il letto. Si bussa
alla porta: si fermano tutti, sorpresi.)


I PARENTI
Ah!

SCHICCHI
Chi può essere? Ah!

ZITA
Maestro Spinelloccio, il dottore!

SCHICCHI
Guardate che non passi.
Ditegli qualche cosa,
che Buoso è migliorato
e che riposa.
(I parenti si affollano alla porta e la schiudono
appena. Schicchi si nasconde dietro alle sarge.

Betto avvicina gli scuri della finestra.)

MAESTRO SPINELLOCCIO
L’è permesso?

I PARENTI
Buon giorno, Maestro Spinelloccio.

ZITA, MARCO, BETTO
Va meglio!

LA CIESCA, RINUCCIO, GHERARDO
Va meglio!

NELLA
Va meglio!

SIMONE
Va meglio!

MAESTRO SPINELLOCCIO
Ha avuto il benefissio?

ZITA, SIMONE, BETTO
Altro che!

LA CIESCA, NELLA, MARCO
Altro che!

MAESTRO SPINELLOCCIO
A che potensa
l’è arrivata la sciensa!
Be’, vediamo, vediamo.
(Spinelloccio fa per entrare; i parenti lo
fermano.)


ZITA, MARCO
No! Riposa.

MAESTRO SPINELLOCCIO
Ma io -

LA CIESCA, SIMONE
Riposa.

SCHICCHI (con voce contraffatta)
No, no, Maestro Spinelloccio.
(Alla voce contraffatta dello Schicchi i parenti
danno un traballone, poi si accorgono che è
Schicchi che contraffà la voce di Buoso.)


MAESTRO SPINELLOCCIO
Oh! Messer Buoso!

SCHICCHI
Io tanta voglia di riposare,
potreste ripassare questa sera?
Son quasi addormentato.

MAESTRO SPINELLOCCIO
Sì, Messer Buoso.
Ma va meglio?

SCHICCHI
Da morte son rinato.
A stasera.
MAESTRO SPINELLOCCIO
A stasera.
(ai parenti)
Anche alla voce sento; è migliorato.
Eh! a me non è mai morto un ammalato.
Non ho delle pretese,
il merito l’è tutto
della scuola Bolognese.

I PARENTI
A stasera, Maestro.

MAESTRO SPINELLOCCIO
A questa sera.
(I parenti chiudono la porta e si volgono allo
Schicchi che è uscito dal suo nascondiglio.
Betto va a riaprire le finestre; entra la luce.)


SCHICCHI
Era uguale la voce?

I PARENTI
Tale e quale!

SCHICCHI
Ah, vittoria! vittoria!
Ma non capite?

I PARENTI
No!
SCHICCHI
Ah, che zucconi!
Si corre dal notaio;
“Messer notaio, presto!
Vien da Buoso Donati.
C’è un gran peggioramento.
Vuol fare testamento.
Portate su con voi le pergamene;
presto, messere, se no, è tardi!”
Ed il notaio viene.
Entra:
la stanza è semioscura,
dentro il letto intravede
di Buoso la figura.
In testa la cappellina,
al viso la pezzolina.
Fra cappellina e pezzolina un naso
che par quello di Buoso e invece è il mio,
perché al posto di Buoso ci son io!
Io, lo Schicchi, con altra voce e forma.
Io falsifico in me Buoso Donati,
testando e dando al testamento norma.
O gente! Questa matta bizzarria
che mi zampilla nella fantasia
è tale da sfidar l’eternità!

I PARENTI
Schicchi! Schicchi! Schicchi!
(Come strozzati dalla commozione i parenti
attorniano Gianni Schicchi; gli baciano le mani e le vesti.)

Schicchi! Schicchi! Schicchi! ecc.

ZITA (a Rinuccio)
Va, corri dal notaio.

RINUCCIO
Io corro dal notaio.
(Esce correndo.)

I PARENTI
Caro Gherardo, Marco, Zita, Ciesca, ecc.

SCHICCHI
Oh! quale commozione!

I PARENTI
Nella, Ciesca, Schicchi!! Schicchi!!
Schicchi! Schicchi!
Gherardo, Marco, Zita.
O giorno d’allegrezza!
La beffa ai frati è bella!
Schicchi! Schicchi! Schicchi!

SCHICCHI
Oh! quale commozione!
Oh! quale commozione!
(I parenti si abbracciano e si baciano con
grande effusione.)

I PARENTI
Come è bello l’amore fra I parenti!
Come è bello l’amore fra I parenti!

SIMONE
O Gianni, ora pensiamo
un po’ alla divisione:
I fiorini in contanti?

I PARENTI
In parti eguali!

SIMONE
A me i poderi di Fucecchio.

ZITA
A me quelli di Figline.

BETTO
A me quelli di Prato,

GHERARDO
A noi le terre d’Empoli.

MARCO
A me quelle di Quintole.

BETTO
A me quelle di Prato.

SIMONE
E quelle di Fucecchio.
ZITA
Resterebbero ancora:
la mula, questa casa
e I mulini di Slgna.

MARCO
Son le cose migliori.

SIMONE
Ah, capisco, capisco.
Perché sono il più vecchio
e sono stato podestà a Fucecchio,
volete darli a me. lo vi ringrazio.

ZITA
No, no, no, no! Un momento!
Se tu se’ vecchio, peggio per te!
Peggio per te!

I PARENTI
Sentilo, sentilo, il podestà!
Vorrebbe il meglio dell’eredità!
La casa, la mula, i mulini di Signa toccano a me!
La mula, i mulini, la casa toccano a me!
La casa, i mulini toccano a me! ecc.

SCHICCHI
Quanto dura l’amore fra i parenti!
Ah! ah!
ah! ah!
ah! ah!
Ah! ah! ah! ah! ecc.
(Si odono i rintocchi di una campana che
suona a morto. Tutti i parenti ammutoliscono allibiti.)


I PARENTI
L’hanno saputo!
Hanno saputo che Buoso è crepato!
(Gherardo si precipita giù dalla scala d’uscita.)

SCHICCHI
Tutto è crollato!

LAURETTA (affacciandosi dal terrazzo)
Babbo, si può sapere?
L’uccellino non vuole più minuzzoli.

SCHICCHI
Ora dagli da bere!
(Lauretta scompare di nuovo sul terrazzo.
Gherardo rientra affannato.)


GHERARDO
È preso un accidente al moro battezzato
del signore capitano.

I PARENTI
Requiescat in pace!

SIMONE
Per la casa, la mula, i mulini
propongo di rimetterei
alla giustizia, all’onestà di Schicchi.

I PARENTI
Rimettiamoci a Schicchi!

SCHICCHI
Come volete.
Datemi i panni per vestirmi.
Presto, presto!
(Zita, Nella e la Ciesca prendono da una
cassapanca la pezzolina, la cappellina e una
camicia da notte di Buoso e mano a mano le
portano a Gianni Schicchi e lo ranno vestire.)


ZITA
Ecco la cappellina!
(sottovoce, a Schicchi)
Se mi lasci la mula, questa casa,
i mulini di Signa,
ti dò trenta fiorini.

SCHICCHI
Sta bene!
(Zita si allontana, fregandosi le mani. Simone si
avvicina con fare distratto a Schicchi.)


SIMONE
Se lasci a me la casa,
la mula ed i mulini,
ti dò cento fiorini.

SCHICCHI
Sta bene!
BETTO
(si avvicina furtivo a Schicchi)
Gianni, se tu mi lasci
questa casa, la mula ed i mulini di Signa,
ti gonfio di quattrini!

SCHICCHI
Sta bene!

(Nella parla a parte con Gherardo, poi si
avvicina a Schicchi.)


NELLA
Ecco la pezzolina!
(sottovoce)
Se lasci a noi la mula,
i mulini di Signa e questa casa,
a furia di fiorini ti s’intasa!

SCHICCHI
Sta bene!
(La Ciesca parla sottovoce a Marco poi si
avvicina a Schicchi.)


LA CIESCA
Ed ecco la camicia.
(sottovoce)
Se ci lasci la mula,
i mulini di Signa e questa casa,
per te mille fiorini!

SCHICCHI
Sta bene!
(Tutti i parenti sono soddisfatti e si fregano le
mani. Intanto Gianni Schicchi si infila la
camicia. Le tre donne attorniano Schicchi e lo
ammirano; Simone è alla finestra per vedere
se arriva il notaio. Gherardo sbarazza il tavolo
dove dovrà sedere il notaio; Marco e Betto
tirano le sarge del letto e ravviano la stanza.)


NELLA
Spogliati, bambolino,
ehé ti mettiamo in letto.
E non aver, non aver dispetto, no, no,
se cambio il carnicino!
Si spiuma il canarino,
il volpe cambia pelo,
il ragno ragnatela,
il cane cambia cuccia,
la serpe cambia buccia.

ZITA
È bello, portentoso!
Chi vuoi che non s’inganni?
È Gianni che fa Buoso?
È Buoso che fa Gianni?
Il testamento è odioso?
Un camicion maestoso,
il viso, il viso dormiglioso,
il naso ponderoso,
l’accento lamentoso, ah!

LA CIESCA
Fa’ presto, bambolino,
ché devi andar a letto.
Se va bene il giochetto,
ti diamo un confortino!
L’uovo divien pulcino,
il fior diventa frutto,
i frati mangian tutto,
ma il frate impoverisce,
la Ciesca s’arricchisce, ah!

NELLA
E il buon Gianni...

ZITA
...cambia panni...

NELLA
...per poterci servir!

LA CIESCA
Cambia viso...

ZITA
...muso e naso...

LA CIESCA
...per poterci servir!

NELLA
Cambia accento...

ZITA
...testamento...

TUTTE E TRE
...per poterci servir!
SCHICCHI
Ti servirò a doveri

LE DONNE
Bravo così.

SCHICCHI
Contente vi farò!

LE DONNE
Proprio così.
O Gianni, Gianni, nostro salvatori

LA CIESCA, NELLA
O Gianni Schicchi, nostro salvatore!

ZITA
O Schicchi!

LA CIESCA, NELLA
O Schicchi!

ZITA
O Gianni Schicchi, nostro salvatore!

NELLA, GHERARDO
È preciso?

LA CIESCA, MARCO, SIMONE, BETTO
Perfetto!

LE DONNE
A letto!
GLI UOMINI
A letto!

LE DONNE
A letto!

GLI UOMINI
A letto!
(Schicchi li ferma con un gesto solenne.)

SCHICCHI
Prima un avvertimento.
O signori, giudizio.
Voi lo sapete il rischio?
“Per chi sostituisce
sé stesso in luogo d’altri
in testamenti e lasciti,
per lui e per i complici
è il taglio della mano
e poi l’esilio.”
Ricordatelo bene! Se fossimo scoperti:
la vedete Firenze?
Addio, Firenze, addio, cielo divino,
io ti saluto con questo moncherino,
e vo randagio come un Ghibellino!

I PARENTI
Addio, Firenze, addio, cielo divino, ecc.

(Si bussa alla porta. Gianni schizza a letto; i
parenti in gran fretta lo accomodano, tirano i
tendaggi, mettono una candela accesa sul
tavolo dove il notaio deve scrivere e
finalmente aprono. Entrano Rinuccio, il notaio
e due testimoni, Pinellino e Guccio.)


RINUCCIO
Ecco il notaro.

IL NOTAIO, PINELLINO, GUCCIO
Messer Buoso, buon giorno.

SCHICCHI
Oh! Siete qui?
Grazie, messer Amantio.
O Pinellino, calzolaio, grazie.
Grazie, Guccio, tintore, troppo buoni,
troppo buoni di venirmi a servir da
testimoni.

PINELLINO
Povero BUOSO!
Io l’ho sempre calzato,
vederlo in quello stato,
vien da piangere.
(Il notaio tira fuori da una cassetta le
pergamene e i bolli e mette tutto sul tavolo; si
siede nella poltrona; i due testimoni restano in
piedi, ai suoi lati.)


SCHICCHI
Il testamento avrei voluto scriverlo
con la scrittura mia,
ma l’impedisce la paralisia.
Perciò volli un notaio,
solempne et leale.

IL NOTAIO
Oh! messer Buoso, grazie.
Dunque tu soffri di paralisia?
(Schicchi tenta allungare in alto le mani,
agitandole tremolanti.)


LA CIESCA, NELLA
Povero Buoso!

ZITA, SIMONE
Povero Buoso!

IL NOTAIO
Oh! Poveretto!
Basta!
I testi videro,
testes viderunt.
Possiamo incominciare.
Ma - i parenti?

SCHICCHI
Che restino presenti.

IL NOTAIO
Dunque incomincio.
In Dei nomini, anno Dei Nostri Jesu Christi ab
eius salutifera incarnatione millesimo,
duecentesimo nonagesimo nono, die prima
septembris, indictione undecima, ego notaro
Amantio di Nicolao, civis Florentiae, per
voluntatem Buosi Donati scribo hoc testamentum.

SCHICCHI
Annullans, revocans et irritans
omne aliud testamentum.


ZITA, LA CIESCA, NELLA
Che previdenza!

MARCO, SIMONE, BETTO
Che previdenza!

IL NOTAIO
Un preambolo: dimmi, i funerali
(il più tardi possibile)
li vuoi ricchi? fastosi? dispendiosi?

SCHICCHI
NO, no, no, pochi quattrini.
Non si spendano più di due fiorini,

GHERARDO
Oh, che modestia!

MARCO
Oh, che modestia!

LA CIESCA, NELLA, RINUCCIO
Povero zio!

ZITA
Che animo!
BETTO
Che cuore!

SIMONE
Gli torna a onore!

SCHICCHI
Lascio ai frati minori
ed all’Opera di Santa Reparata -
(I parenti, leggermente turbati, si alzano lentamente.)
- cinque lire.

SIMONE, BETTO
Bravo!

ZITA, MARCO
Bravo!

ZITA, MARCO, SIMONE, BETTO
Bisogna sempre pensare alla beneficenza.

IL NOTAIO
Non ti sembra un po’ poco?

SCHICCHI
chi crepa e lascia molto
alle congreghe e ai frati
fa dire a chi rimane:
“eran quattrini rubati”.
NELLA, RINUCCIO, GHERARDO
Che massime!

LA CIESCA, MARCO, BETTO
Che mente!

ZITA, SIMONE
Che saggezza!

IL NOTAIO
Che lucidezza!

SCHICCHI
I fiorini in contanti
li lascio in parti uguali fra i parenti.

LA CIESCA, NELLA, RINUCCIO
Oh, grazie, zio!

ZITA
Grazie, cugino!

SIMONE, BETTO
Grazie, cognato!

SCHICCHI
Lascio a Simone i beni di Fucecchio

SIMONE
Grazie!
SCHICCHI
Alla Zita I poderi di Figline.

ZITA
Grazie, grazie!

SCHICCHI
A Betto i campi di Prato.

BETTO
Grazie, cognato!

SCHICCHI
A Nella ed a Gherardo i beni d’Empoli.

NELLA, GHERARDO
Grazie, grazie!

SCHICCHI
Alla Ciesca ed a Marco i beni a Quintole.

I PARENTI
Ora siamo alla mula,
alla casa e ai mulini.

SCHICCHI
Lascio la mula,
quella che costa trecento fiorini,
che è la migliore mula di Toscana
al mio devoto amico - Gianni Schicchi.

I PARENTI
Come? come? com’è? com’è?
IL NOTAIO
Mulam reliquit eius amico devoto Joanni Schicchi.

I PARENTI
Ma -

SIMONE
Cosa vuol che gl’importi
a Gianni Schicchi di quella mula?

SCHICCHI
Tienti bono, Simone.
Lo so io quel che vuole Gianni Schicchi!

I PARENTI
Ah, furfante, furfante, furfante!

SCHICCHI
Lascio la casa di Firenze al mio
caro, devoto, affezionato amico
Gianni Schicchi.
(I parenti scattano, inferociti.)

I PARENTI
Ah! basta, basta!
Un accidente a quel furfante
di Gianni Schicchi!
ci ribelliamo, ci ribelliamo, ecc.
SCHICCHI
Addio, Firenze, addio, cielo divino....

I PARENTI
Ah!

SCHICCHI
...io ti saluto.

IL NOTAIO
Non si disturbi
del testator la volontà.

SCHICCHI
Messer Amantio, io lascio a chi mi pare.
Ho in mente un testamento e sarà quello.
Se gridano, sto calmo, e canterello.

GUCCIO
Ah! che uomo!

PINELLINO
Che uomo!

SCHICCHI
E i mulini di Signa...

I PARENTI
I mulini di Signa?
SCHICCHI
I mulini di Slgna (addio, Firenze!)
Il lascio al caro (addio, cielo divino!)
affezionato amico, Gianni Schicchi!

I PARENTI
Ah!

SCHICCHI
(E ti saluto con questo moncherino!)
La, la, la, la, la, la, la, la.
Ecco fatto!
Zita, di vostra borsa
date venti fiorini ai testimoni,
e cento al buon notaio.

IL NOTAIO
Messer Buoso, grazie.
(Il notaio si avvia verso il letto, ma Schicchi lo
ferma con un gesto della mano tremula.)


SCHICCHI
Niente saluti.
Andate, andate.
Siamo forti.

IL NOTAIO (avviandosi per uscire)
Ah, che uomo, che uomo!

PINELLINO, GUCCIO (avviandosi)
Che uomo, che perdita!
IL NOTAIO
Che peccato!

IL NOTAIO, PINELLINO, GUCCIO
Che perdita!

GUCCIO (ai parenti)
Coraggio!

PINELLINO
Coraggio!
(Appena usciti il notaio e i testi, Rinuccio corre
sul terrazzino e i parenti si slanciano contro lo
Schicchi che, ritto sul letto, si difende come può.)


ZITA
Ladro!

I PARENTI
Ladro!
Ladro, ladro,
furfante, traditore,
birbante, iniquo,
ladro, ladro,
furfante, birbante,
traditore!

SCHICCHI
Gente taccagna!
(Schicchi salta giù dal letto e, brandendo il
bastone di Buoso, mena legnate ai parenti.)

Vi caccio via
di casa miai
È casa miai
(I parenti corrono qua e là, saccheggiano e rubano.)

I PARENTI
Saccheggiai Saccheggiai Saccheggiai

GHERARDO, SIMONE, BETTO
Saccheggiai Saccheggiai

ZITA
Bottino! Bottino!

MARCO
La roba d’argento!

SCHICCHI
Viai viai viai

I PARENTI
Le pezze di telai La roba d’argentoi

SCHICCHI
È casa miai

I PARENTI
La roba d’argentoi Le pezze di telai

SCHICCHI
Via! via!
Via! via!
Via! via!
È casa mia, vi caccio via!
I PARENTI
La roba d’argento! Le pezze di telai
Bottino! bottino! Saccheggia! saccheggia!

SCHICCHI
Via! via! via!

ZITA, LA CIESCA, NELLA
Ah!

SCHICCHI
Via! via! via! via! ecc.
(Tutti i parenti mano a mano che son carichi si
affollano alla porta e scendono le scale.
Schicchi li rincorre, precipitandosi giù per le
scale.)


I PARENTI
Ladro, iniquo, furfante, traditore!

SCHICCHI
Via! via! via!

I PARENTI
Ladro, ladro, furfante, traditore!

SCHICCHI
Via! via!

I PARENTI
Ah! ah!
SCHICCHI
Via! via!

I PARENTI
Ah! ah!

SCHICCHI
Via! via!
(Apre lentamente il finestrone: appare Firenze
inondata di sole; i due innamorati si fermano,
abbracciati, sul terrazzino.)


RINUCCIO
Lauretta mia, staremo sempre qui.
Guarda, Firenze è d’oro, Fiesole è bella!

LAURETTA
Là mi giurasti amore.

RINUCCIO
Ti chiesi un bacio.

LAURETTA
Il primo bacio.

RINUCCIO
Tremante e bianca volgesti il viso.

LAURETTA, RINUCCIO
Firenze da lontano ci parve il Paradiso!
(Torna Schicchi risalendo le scale, carico di
roba che butta al suolo.)


SCHICCHI
La masnada fuggii
(Vede gli innamorati, sorride e si volge al pubblico.)

Ditemi voi, signori,
se i quattrini di Buoso
potevan finir meglio di così.
Per questa bizzarria
m’han cacciato all’inferno,
e così sia;
ma, con licenza del gran padre Dante,
se stasera vi siete divertiti,
concedetemi voi
(Fa il gesto di applaudire.)
l’attenuante.

Fine dell’opera

Libretto di Gioachino Forzano

Italian libretto © G. Ricordi & Co. SpA.

libretto by Giuseppi Adami; Gioachino Forzano 

 

© DM's opera site