Il Duca di Mantova, Tenore Rigoletto, buffone di Corte, Baritono Gilda, figlia di Rigoletto, Soprano Sparafucile, bravo, basso Maddalena, sua sorella, contralto Giovanna, custode di Gilda,mezzosoprano Il Conte di Monterone, baritono Marullo, cavaliere, baritono Matteo Borsa, cortigiano, tenore Il Conte di Ceprano, basso La Contessa, sua sposa, Mezzosoprano Usciere di Corte, Basso Paggio della Duchessa, Mezzosoprano Cavalieri, Dame, Paggi, Alabardieri. Preludio Scena prima Mantova. Sala magnifica nel palazzo ducale (Porte nel fondo mettono ad altre sale, pure splendidamente illuminate; folla di cavalieri e dame in gran costume nel fondo delle sale; paggi che vanno e vengono. La festa è nel suo pieno. Musica interna da lontano. Il Duca e Borsa vengono da una porta del fondo.) DUCA Della mia bella incognita borghese toccare il fin dell’avventura voglio. BORSA Di quella giovin che vedete al tempio? DUCA Da tre mesi ogni festa. BORSA La sua dimora? DUCA In un remoto calle; misterioso un uom v’entra ogni notte. BORSA E sa colei chi sia l’amante suo? DUCA Lo ignora. (Un gruppo di dame e cavalieri attraversano la sala.) BORSA Quante beltà! Mirate. DUCA Le vince tutte di Cepran la sposa. BORSA Non v’oda il Conte, o Duca! DUCA A me che importa? BORSA Dirlo ad altra ei potria. DUCA Né sventura per me certo saria. Questa o quella per me pari sono a quant’altre d’intorno mi vedo; del mio core l’impero non cedo meglio ad una che ad altra beltà. La costoro avvenenza è qual dono di che il fato ne infiora la vita; s’oggi questa mi torna gradita forse un’altra doman lo sarà. La costanza, tiranna del core, detestiamo qual morbo crudele. Sol chi vuole si serbi fedele; non v’è amor se non v’è libertà. De’ mariti il geloso furore, degli amanti le smanie derido; anco d’Argo i cent’occhi disfido se mi punge una qualche beltà. (Entra il Conte di Ceprano che segue da lungi la sua sposa servita da altro cavaliere; dame e signori che entrano da varie parti.) DUCA (alla signora di Ceprano movendo ad incontrarla con molta galanteria) Partite? Crudele! CONTESSA DI CEPRANO Seguire lo sposo m’è forza a Ceprano. DUCA Ma dee luminoso in corte tal astro qual sole brillare. Per voi qui ciascuno dovrà palpitare. Per voi già possente la fiamma d’amore inebria, conquide, distrugge il mio core. CONTESSA Calmatevi! DUCA La fiamma d’amore inebria, ecc. CONTESSA Calmatevi! (Il Duca le dà il braccio ed esce con lei. Entra Rigoletto che s’incontra nel signor di Ceprano, poi cortigiani.) RIGOLETTO In testa che avete, Signor di Ceprano? (Ceprano fa un gesto d’impazienza e segue il Duca. Rigoletto dice ai cortigiani:) Ei sbuffa, vedete? BORSA, CORO Che festa! RIGOLETTO Oh sì... BORSA, CORO Il Duca qui pur si diverte! RIGOLETTO Così non è sempre? che nuove scoperte! Il giuoco ed il vino, le feste, la danza, battaglie, conviti, ben tutto gli sta. Or della Contessa l’assedio egli avanza, e intanto il marito fremendo ne va. (Esce. Entra Marullo premuroso.) MARULLO Gran nuova! Gran nuova! CORO Che avvenne? parlate! MARULLO Stupir ne dovrete! CORO, BORSA Narrate, narrate. MARULLO Ah! ah! Rigoletto... CORO, BORSA Ebben? MARULLO Caso enorme! CORO, BORSA Perduto ha la gobba? non è più difforme? MARULLO Più strana è la cosa! Il pazzo possiede... CORO, BORSA Infine? MARULLO Un’amante. CORO, BORSA Un’amante! Chi il crede? MARULLO Il gobbo in Cupido or s’è trasformato. CORO, BORSA Quel mostro? Cupido!...Cupido beato! (Ritorna il Duca seguito da Rigoletto, poi da Ceprano.) DUCA (a Rigoletto) Ah, più di Ceprano importuno non v’è! La cara sua sposa è un angiol per me! RIGOLETTO Rapitela. DUCA È detto; ma il farlo? RIGOLETTO Stasera. DUCA Non pensi tu al Conte? RIGOLETTO Non c’è la prigione? DUCA Ah, no. RIGOLETTO Ebben, s’esilia. DUCA Nemmeno, buffone. RIGOLETTO (indicando di farla tagliare) Allora la testa... CEPRANO (fra sé) Quell’anima nera! DUCA (battendo colla mano una spalla al Conte) Che di’, questa testa? RIGOLETTO È ben naturale. Che fare di tal testa?...A cosa ella vale? CEPRANO (infuriato, brandendo la spada) Marrano! DUCA (a Ceprano) Fermate! RIGOLETTO Da rider mi fa. MARULLO, CORO (tra loro) In furia è montato! DUCA (a Rigoletto) Buffone, vien qua. BORSA, MARULLO, CORO In furia è montato! DUCA Ah, sempre tu spingi lo scherzo all’estremo. Quell’ira che sfidi colpirti potrà. CEPRANO (ai cortigiani a parte) Vendetta del pazzo! RIGOLETTO Che coglier mi puote? Di loro non temo; del Duca un protetto nessun toccherà. CEPRANO Contr’esso un rancore di noi chi non ha? Vendetta! BORSA, MARULLO, CORO (a Ceprano) Ma come? CEPRANO In armi chi ha core doman sia da me. BORSA, MARULLO, CORO Sì. CEPRANO A notte. BORSA, MARULLO, CORO Sarà. RIGOLETTO Che coglier mi puote? ecc. DUCA Ah, sempre tu spingi lo scherzo, ecc. BORSA, CEPRANO, MARULLO, CORO Vendetta del pazzo! Contr’esso un rancore pei tristi suoi modi di noi chi non ha? Sì, vendetta! ecc. Sì, vendetta! DUCA, RIGOLETTO Tutto è gioia, tutto è festa! (La folla de’ danzatori invade la scena.) TUTTI Tutto è gioia, tutto è festa! Tutto invitaci a goder! Oh, guardate, non par questa or la reggia del piacer? (Entra il Conte di Monterone.) MONTERONE Ch’io gli parli. DUCA No. MONTERONE (avanzando) Il voglio. BORSA, RIGOLETTO, MARULLO, CEPRANO, CORO Monterone! MONTERONE (fissando il Duca, con nobile orgoglio) Sì, Monteron. La voce mia qual tuono vi scuoterà dovunque... RIGOLETTO (al Duca, contraffacendo la voce di Monterone) Ch’io gli parli. (Si avanza con ridicola gravità.) Voi congiuraste contro noi, signore, e noi, clementi invero, perdonammo. Qual vi piglia or delirio a tutte l’ore di vostra figlia a reclamar l’onore? MONTERONE (guardando Rigoletto con ira sprezzante) Novello insulto! (al Duca) Ah sì, a turbare sarò vostr’orgie; verrò a gridare fino a che vegga restarsi inulto di mia famiglia l’atroce insulto; e se al carnefice pur mi darete, spettro terribile mi rivedrete, portante in mano il teschio mio, vendetta chiedere al mondo e a Dio. DUCA Non più, arrestatelo. RIGOLETTO È matto. CORO Quai detti! MONTERONE (al Duca e Rigoletto) Oh, siate entrambi voi maledetti! BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO Ah! MONTERONE Slanciare il cane a leon morente è vile, o Duca. (a Rigoletto) E tu, serpente, tu che d’un padre ridi al dolore, sii maledetto! RIGOLETTO (da sé, colpito) Che sento! orrore! TUTTI (meno Rigoletto) (a Monterone) O tu che la festa audace hai turbato da un genio d’inferno qui fosti guidato; è vano ogni detto, di qua t’allontana, va, trema, o vegliardo, dell’ira sovrana, ecc. RIGOLETTO Orrore! Che orrore! ecc. MONTERONE Sii maledetto! E tu serpente! ecc. TUTTI (meno Rigoletto) Tu l’hai provocata, più speme von v’è, un’ora fatale fu questa per te. (Monterone parte fra due alabardieri; tutti gli altri seguono il Duca in altra stanza.) Scena 2 L’estremità d’una via cieca (A sinistra, una casa di discreta apparenza con una piccola corte circondata da mura. Nella corte un grosso ed alto albero ed un sedile di marmo; nel muro, una porta che mette alla strada; sopra il muro, un terrazzo sostenuto da arcate. La porta del primo piano dà sul detto terrazzo, a cui si ascende per una scala di fronte. A destra della via è il muro altissimo del giardino e un fianco del palazzo di Ceprano. È notte. Entra Rigoletto chiuso nel suo mantello; Sparafucile lo segue, portando sotto il mantello una lunga spada.) RIGOLETTO (da sé) Quel vecchio maledivami! SPARAFUCILE Signor?... RIGOLETTO Va, non ho niente. SPARAFUCILE Né il chiesi: a voi presente un uom di spada sta. RIGOLETTO Un ladro? SPARAFUCILE Un uom che libera per poco da un rivale, e voi ne avete. RIGOLETTO Quale? SPARAFUCILE La vostra donna è là. RIGOLETTO (da sé) Che sento! (a Sparafucile) E quanto spendere per un signor dovrei? SPARAFUCILE Prezzo maggior vorrei. RIGOLETTO Com’usasi pagar? SPARAFUCILE Una metà s’anticipa, il resto si dà poi. RIGOLETTO (da sé) Demonio! (a Sparafucile) E come puoi tanto securo oprar? SPARAFUCILE Soglio in cittade uccidere, oppure nel mio tetto. L’uomo di sera aspetto; una stoccata e muor. RIGOLETTO (da sé) Demonio! (a Sparafucile) E come in casa? SPARAFUCILE È facile. M’aiuta mia sorella. Per le vie danza...è bella... Chi voglio attira, e allor... RIGOLETTO Comprendo. SPARAFUCILE Senza strepito... RIGOLETTO Comprendo. SPARAFUCILE È questo il mio strumento. (Mostra la spada.) Vi serve? RIGOLETTO No...al momento. SPARAFUCILE Peggio per voi. RIGOLETTO Chi sa? SPARAFUCILE Sparafucil mi nomino. RIGOLETTO Straniero? SPARAFUCILE (per andarsene) Borgognone. RIGOLETTO E dove all’occasione? SPARAFUCILE Qui sempre a sera. RIGOLETTO Va. SPARAFUCILE Sparafucil, Sparafucil. (Sparafucile parte.) RIGOLETTO (guarda dietro a Sparafucile) Va, va, va, va. Pari siamo!...io la lingua, egli ha il pugnale. L’uomo son io che ride, ei quel che spegne! Quel vecchio maledivami... O uomini! o natura! Vil scellerato mi faceste voi! O rabbia! esser difforme, esser buffone! Non dover, non poter altro che ridere! Il retaggio d’ogni uom m’è tolto, il pianto. Questo padrone mio, giovin, giocondo, sì possente, bello, sonnecchiando mi dice: Fa ch’io rida, buffone! Forzarmi deggio e farlo! Oh dannazione! Odio a voi, cortigiani schernitori! Quanta in mordervi ho gioia! Se iniquo son, per cagion vostra è solo. Ma in altr’uomo qui mi cangio!... Quel vecchio maledivami!...Tal pensiero perché conturba ognor la mente mia? Mi coglierà sventura? Ah no, è follia! (Apre con chiave ed entra nel cortile. Gilda esce dalla casa e si getta nelle sue braccia.) Figlia! GILDA Mio padre! RIGOLETTO A te d’appresso trova sol gioia il core oppresso. GILDA Oh, quanto amore, padre mio! RIGOLETTO Mia vita sei! Senza te in terra qual bene avrei? Ah, figlia mia! GILDA Voi sospirate! che v’ange tanto? Lo dite a questa povera figlia. Se v’ha mistero, per lei sia franto: ch’ella conosca la sua famiglia. RIGOLETTO Tu non ne hai. GILDA Qual nome avete? RIGOLETTO A te che importa? GILDA Se non volete di voi parlarmi... RIGOLETTO (interrompendola) Non uscir mai. GILDA Non vo che al tempio. RIGOLETTO Oh, ben tu fai. GILDA Se non di voi, almen chi sia fate ch’io sappia la madre mia. RIGOLETTO Deh, non parlare al misero del suo perduto bene. Ella sentia, quell’angelo, pietà delle mie pene. Solo, difforme, povero, per compassion mi amò. Morìa...le zolle coprano lievi quel capo amato. Sola or tu resti al misero... O Dio, sii ringraziato! GILDA (singhiozzando) Oh quanto dolor! che spremere sì amaro pianto può? Padre, non più, calmatevi... Mi lacera tal vista. RIGOLETTO Tu sola resti al misero, ecc. GILDA Il nome vostro ditemi, il duol che sì v’attrista. RIGOLETTO A che nomarmi? è inutile! Padre ti sono, e basti. Me forse al mondo temono, d’alcuno ho forse gli asti. Altri mi maledicono... GILDA Patria, parenti, amici voi dunque non avete? RIGOLETTO Patria! parenti! amici! Culto, famiglia, la patria, il mio universo è in te! GILDA Ah, se può lieto rendervi, gioia è la vita a me! RIGOLETTO Culto, famiglia, ecc. GILDA Già da tre lune son qui venuta né la cittade ho ancor veduta; se il concedete, farlo or potrei... RIGOLETTO Mai! mai! Uscita, dimmi, unqua sei? GILDA No. RIGOLETTO Guai! GILDA (da sé) Ah! Che dissi! RIGOLETTO Ben te ne guarda! (da sé) Potrien seguirla, rapirla ancora! Qui d’un buffone si disonora la figlia e se ne ride...Orror! (forte) Olà? (Giovanna esce dalla casa.) GIOVANNA Signor? RIGOLETTO Venendo mi vede alcuno? Bada, di’ il vero. GIOVANNA Oh, no, nessuno. RIGOLETTO Sta ben. La porta che dà al bastione è sempre chiusa? GIOVANNA Ognor si sta. RIGOLETTO Bada, di’ il ver. Ah, veglia, o donna, questo fiore che a te puro confidai; veglia, attenta, e non fia mai che s’offuschi il suo candor. Tu dei venti dal furore ch’altri fiori hanno piegato, lo difendi, e immacolato lo ridona al genitor. GILDA Quanto affetto! quali cure! Che temete, padre mio? Lassù in cielo presso Dio veglia un angiol protettor. Da noi stoglie le sventure di mia madre il priego santo; non fia mai disvelto o franto questo a voi diletto fior. (Il Duca in costume borghese viene dalla strada.) RIGOLETTO Ah, veglia, o donna, questo fiore che a te puro confi... Alcun v’è fuori! (Apre la porta della corte e, mentre esce a guardar sulla strada, il Duca guizza furtivo nella corte e si nasconde dietro l’albero; gettando a Giovanna una borsa la fa tacere.) GILDA Cielo! Sempre novel sospetto! RIGOLETTO (a Giovanna tornando) Alla chiesa vi seguiva mai nessuno? GIOVANNA Mai. DUCA (da sé) Rigoletto! RIGOLETTO Se talor qui picchian, guardatevi d’aprire... GIOVANNA Nemmeno al Duca? RIGOLETTO Non che ad altri a lui. Mia figlia, addio. DUCA (da sé) Sua figlia! GILDA Addio, mio padre. RIGOLETTO Ah! veglia, o donna, ecc. Figlia, addio! GILDA Oh, quanto affetto! ecc. Mio padre, addio! (S’abbracciano e Rigoletto parte chiudendosi dietro la porta. Gilda, Giovanna e il Duca restano nella corte.) GILDA Giovanna, ho dei rimorsi... GIOVANNA E perché mai? GILDA Tacqui che un giovin ne seguiva al tempio. GIOVANNA Perché ciò dirgli? L’odiate dunque cotesto giovin, voi? GILDA No, no, ché troppo è bello e spira amore. GIOVANNA E magnanimo sembra e gran signore. GILDA Signor né principe io lo vorrei; sento che povero più l’amerei. Sognando o vigile sempre lo chiamo, e l’alma in estasi gli dice: t’a... DUCA (esce improvviso, fa cenno a Giovanna d’andarsene, e inginocchiandosi ai piedi di Gilda termina la frase) T’amo! T’amo; ripetilo sì caro accento: un puro schiudimi ciel di contento! GILDA Giovanna? Ahi, misera! Non v’è più alcuno che qui rispondami! Oh Dio! nessuno? DUCA Son io coll’anima che ti rispondo. Ah, due che s’amano son tutto un mondo! GILDA Chi mai, chi giungere vi fece a me? DUCA Se angelo o demone, che importa a te? Io t’amo. GILDA Uscitene. DUCA Uscire!...adesso!... Ora che accendene un fuoco istesso! Ah, inseparabile d’amore il dio stringeva, o vergine, tuo fato al mio! È il sol dell’anima, la vita è amore, sua voce è il palpito del nostro core. E fama e gloria, potenza e trono, umane, fragili qui cose sono, una pur avvene sola, divina: è amor che agl’angeli più ne avvicina! Adunque amiamoci, donna celeste; d’invidia agli uomini sarò per te. GILDA (da sé) Ah, de’ miei vergini sogni son queste le voci tenere sì care a me! ecc. DUCA Amiamoci, d’invidia agl’uomini sarò per te, ecc. Che m’ami, deh, ripetimi. GILDA L’udiste. DUCA Oh, me felice! GILDA Il nome vostro ditemi... Saperlo a me non lice? (Ceprano e Borsa compariscono sulla strada.) CEPRANO (a Borsa) Il loco è qui. DUCA (pensando) Mi nomino... BORSA (a Ceprano) Sta ben. (Ceprano e Borsa partono.) DUCA Gualtier Maldè. Studente sono, e povero... GIOVANNA (tornando spaventata) Rumor di passi è fuori! GILDA Forse mio padre... DUCA (da sé) Ah, cogliere potessi il traditore che sì mi sturba! GILDA Adducilo di qua al bastione...or ite... DUCA Di’, m’amerai tu? GILDA E voi? DUCA L’intera vita...poi... GILDA Non più, non più...partite. TUTT’E DUE Addio! speranza ed anima sol tu sarai per me. Addio! vivrà immutabile l’affetto mio per te. Addio, ecc. (Il Duca esce scortato da Giovanna. Gilda resta fissando la porta ond’è partito.) GILDA (sola) Gualtier Maldè...nome di lui sì amato, ti scolpisci nel core innamorato! Caro nome che il mio cor festi primo palpitar, le delizie dell’amor mi dêi sempre rammentar! Col pensier il mio desir a te sempre volerà, e fin l’ultimo mio sospir, caro nome, tuo sarà. Col pensier, ecc. (Sale al terrazzo con una lanterna.) Gualtier Maldè! (Marullo, Ceprano, Borsa, cortigiani, armati e mascherati, vengono dalla via. Gilda entra tosto in casa.) Caro nome, ecc. BORSA È là. CEPRANO Miratela. CORO Oh quanto è bella! MARULLO Par fata od angiol. CORO L’amante è quella di Rigoletto. Oh, quanto è bella! (Rigoletto, concentrato, entra.) RIGOLETTO (da sé) Riedo!...perché? BORSA Silenzio. All’opra...badate a me. RIGOLETTO (da sé) Ah, da quel vecchio fui maledetto! (urta in Borsa) Chi va là? BORSA (ai compagni) Tacete...c’è Rigoletto. CEPRANO Vittoria doppia! l’uccideremo. BORSA No, ché domani più rideremo. MARULLO Or tutto aggiusto... RIGOLETTO Chi parla qua? MARULLO Ehi, Rigoletto?...Di’? RIGOLETTO Chi va là? MARULLO Eh, non mangiarci!...Son... RIGOLETTO Chi? MARULLO Marullo. RIGOLETTO In tanto buio lo sguardo è nullo. MARULLO Qui ne condusse ridevol cosa... Torre a Ceprano vogliam la sposa. RIGOLETTO (da sé) Ahimè! respiro! (a Marullo) Ma come entrare? MARULLO (a Ceprano) La vostra chiave! (a Rigoletto) Non dubitare. Non dee mancarci lo stratagemma... (Gli dà la chiave avuta da Ceprano.) Ecco la chiave. RIGOLETTO (palpando) Sento il suo stemma. (da sé) Ah, terror vano fu dunque il mio! (a Marullo) N’è là il palazzo. Con voi son io. MARULLO Siam mascherati... RIGOLETTO Ch’io pur mi mascheri; a me una larva. MARULLO Sì, pronta è già. (Gli mette una maschera e nello stesso tempo lo benda con un fazzoletto, e lo pone a reggere una scala, che hanno appostata al terrazzo.) Terrai la scala. RIGOLETTO Fitta è la tenebra. MARULLO La benda cieco e sordo il fa. CORO Zitti, zitti, moviamo a vendetta; ne sia colto or che meno l’aspetta. Derisore sì audace e costante a sua volta schernito sarà! Cheti, cheti, rubiamgli l’amante e la Corte doman riderà. Cheti, cheti, ecc. Derisore sì audace, ecc. Zitti, zitti, zitti, zitti, cheti, cheti, cheti, cheti, attenti all’opra, all’opra. (Alcuni salgono al terrazzo, rompono la porta del primo piano, scendono, aprono ad altri che entrano dalla strada e riescono trascinando Gilda, la quale ha la bocca chiusa da un fazzoletto; nel traversare la scena ella perde una sciarpa.) GILDA (da lontano) Soccorso, padre mio! CORO (da lontano) Vittoria! GILDA (più lontano) Aita! RIGOLETTO Non han finito ancor!...qual derisione! (Si tocca gli occhi.) Sono bendato! Gilda!...Gilda! (Si strappa impetuosamente la benda e la maschera, ed al chiarore d’una lanterna scordata riconosce la sciarpa, vede la porta aperta: entra, ne trae Giovanna spaventata; la fissa con istupore, si strappa i capelli senza poter gridare; finalmente, dopo molti sforzi, esclama:) Ah! la maledizione! (Sviene.) Salotto nel palazzo ducale (Vi sono due porte laterali, una maggiore nel fondo che si chiude. Ai suoi lati pendono i ritratti, in tutta figura, a sinistra del Duca, a destra della sua sposa. V’ha un seggiolone presso una tavola coperta di velluto e altri mobili.) DUCA (entrando, agitato) Ella mi fu rapita! E quando, o ciel?...ne’ brevi istanti, prima che il mio presagio interno sull’orma corsa ancora mi spingesse! Schiuso era l’uscio! E la magion deserta! E dove ora sarà quell’angiol caro? Colei che prima potè in questo core destar la fiamma di costanti affetti? Colei sì pura, al cui modesto sguardo quasi spinto a virtù talor mi credo! Ella mi fu rapita! E chi l’ardiva?...ma ne avrò vendetta. Lo chiede il pianto della mia diletta. Parmi veder le lagrime scorrenti da quel ciglio, quando fra il dubbio e l’ansia del subito periglio, dell’amor nostro memore il suo Gualtier chiamò. Ned ei potea soccorrerti, cara fanciulla amata; ei che vorria coll’anima farti quaggiù beata; ei che le sfere agli angeli per te non invidiò. Ei che le sfere, ecc. (Marullo, Ceprano, Borsa ed altri cortigiani entrano dal mezzo.) BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO Duca, Duca! DUCA Ebben? BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO L’amante fu rapita a Rigoletto. DUCA Come? E d’onde? BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO Dal suo tetto. DUCA Ah! Ah! dite, come fu? BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO Scorrendo uniti remota via, brev’ora dopo caduto il dì, come previsto ben s’era in pria, rara beltà ci si scoprì. Era l’amante di Rigoletto, che vista appena si dileguò. Già di rapirla s’avea il progetto, quando il buffone ver noi spuntò; che di Ceprano noi la contessa rapir volessimo, stolto, credè; la scala, quindi, all’uopo messa, bendato ei stesso ferma tenè. La scala, quindi, ecc. Salimmo, e rapidi la giovinetta a noi riusciva quindi asportar. DUCA (da sé) Cielo! BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO Quand’ei s’accorse della vendetta restò scornato ad imprecar. DUCA (da sé) È dessa, la mia diletta! (forte) Ma dove or trovasi la poveretta? BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO Fu da noi stessi addotta or qui. DUCA (da sé) Ah, tutto il ciel non mi rapì! (Esce rapidamente. Rigoletto entra cantarellando con represso dolore.) MARULLO Povero Rigoletto! RIGOLETTO La rà, la rà, la rà, ecc. CORO Ei vien...Silenzio. RIGOLETTO La rà, la rà, la rà, la rà, ecc. BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO Oh, buon giorno, Rigoletto. RIGOLETTO (da sé) Han tutti fatto il colpo! CEPRANO Ch’hai di nuovo, buffon? RIGOLETTO Ch’hai di nuovo, buffon? Che dell’usato più noioso voi siete. BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO Ah! ah! ah! RIGOLETTO La rà, la rà, la rà, ecc. (spiando inquieto dovunque, da sé) Ove l’avran nascosta?... BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO (fra loro) Guardate com’è inquieto! RIGOLETTO La rà, la rà, la rà, ecc. BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO Sì! Guardate com’è inquieto! RIGOLETTO (a Marullo) Son felice che nulla a voi nuocesse l’aria di questa notte... MARULLO Questa notte! RIGOLETTO Sì...Ah, fu il bel colpo! MARULLO S’ho dormito sempre! RIGOLETTO Ah, voi dormiste! Avrò dunque sognato! La rà, la rà, la rà, ecc. (S’allontana e vedendo un fazzoletto sopra una tavola ne osserva inquieto la cifra.) CORO (fra loro) Ve’ come tutto osserva! RIGOLETTO (gettandolo; fra sé) Non è il suo. (forte) Dorme il Duca tuttor? CORO Sì, dorme ancora. (Comparisce un paggio della Duchessa.) PAGGIO Al suo sposo parlar vuol la Duchessa. CEPRANO Dorme. PAGGIO Qui or or con voi non era? BORSA È a caccia. PAGGIO Senza paggi! senz’armi! TUTTI E non capisci che per ora vedere non può alcuno? RIGOLETTO (che a parte è stato attentissimo al dialogo, balzando improvviso tra loro prorompe:) Ah, ell’è qui dunque! Ell’è col Duca! TUTTI Chi? RIGOLETTO La giovin che stanotte al mio tetto rapiste. Ma la saprò riprender. Ella è là! TUTTI Se l’amante perdesti, la ricerca altrove. RIGOLETTO Io vo’ mia figlia! TUTTI La sua figlia! RIGOLETTO Sì, la mia figlia! d’una tal vittoria, che? adesso non ridete? Ella è là...la vogl’io...la renderete. (Corre verso la porta di mezzo, ma i cortigiani gli attraversano il passaggio.) Cortigiani, vil razza dannata, per qual prezzo vendeste il mio bene? A voi nulla per l’oro sconviene, ma mia figlia è impagabil tesor. La rendete...o, se pur disarmata, questa man per voi fora cruenta; nulla in terra più l’uomo paventa, se dei figli difende l’onor. Quella porta, assassini, m’aprite! (Si getta ancor sulla porta che gli è nuovamente contesa dai gentiluomini; lotta alquanto, poi ritorna spossato.) La porta, la porta, assassini, m’aprite. Ah! voi tutti a me contro venite! Tutti contro me! (piange) Ah! Ebben, piango. Marullo, signore, tu ch’hai l’alma gentil come il core, dimmi tu dove l’hanno nascosta? Marullo, signore, dimmi tu dove l’hanno nascosta? È là...non è vero?...È là?... non è vero?...è là?...non è vero? Tu taci!...ohimè! Miei signori, perdono, pietate! Al vegliardo la figlia ridate! Ridonarla a voi nulla ora costa, tutto al mondo tal figlia è per me. Signori, perdono, ecc. (Gilda esce dalla stanza a sinistra e si getta nelle paterne braccia.) GILDA Mio padre! RIGOLETTO Dio! mia Gilda! Signori, in essa è tutta la mia famiglia. Non temer più nulla, angelo mio... (ai cortigiani) Fu scherzo, non è vero? Io, che pur piansi, or rido. (a Gilda) E tu a che piangi? GILDA Ah, l’onta, padre mio! RIGOLETTO Cielo! che dici? GILDA Arrossir voglio innanzi a voi soltanto... RIGOLETTO (ai cortigiani) Ite di qua voi tutti! Se il Duca vostro d’appressarsi osasse, ch’ei non entri, gli dite, e ch’io qui sono. BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO (fra loro) Coi fanciulli e co’ dementi spesso giova il simular; partiam pur, ma quel ch’ei tenti non lasciamo d’osservar. (Escono.) RIGOLETTO Parla...siam soli. GILDA (da sé) Ciel! dammi coraggio! (a Rigoletto) Tutte le feste al tempio mentre pregava Iddio, bello e fatale un giovine offriasi al guardo mio... Se i labbri nostri tacquero, dagli occhi il cor parlò. Furtivo fra le tenebre sol ieri a me giungeva... “Sono studente e povero”, commosso mi diceva, e con ardente palpito amor mi protestò. Partì...il mio core aprivasi a speme più gradita, quando improvvisi apparvero color che m’han rapita, e a forza qui m’addussero nell’ansia più crudel. RIGOLETTO (da sé) Ah! Solo per me l’infamia a te chiedeva, o Dio... ch’ella potesse ascendere quanto caduto er’io. Ah, presso del patibolo bisogna ben l’altare! Ma tutto ora scompare, l’altar si rovesciò! (a Gilda) Piangi, fanciulla, piangi... GILDA Padre! RIGOLETTO ...scorrer fa il pianto sul mio cor. GILDA Padre, in voi parla un angiol per me consolator, ecc. RIGOLETTO Piangi, fanciulla, ecc. Compiuto pur quanto a fare mi resta, lasciare potremo quest’aura funesta. GILDA Sì. RIGOLETTO (da sé) E tutto un sol giorno cangiare potè! (Entra un usciere ed il Conte di Monterone, che attraversa il fondo della sala fra gli alabardieri.) USCIERE Schiudete: ire al carcere Monteron dee. MONTERONE (fermandosi verso il ritratto) Poiché fosti invano da me maledetto, né un fulmine o un ferro colpisce il tuo petto, felice pur anco, o Duca, vivrai. (Esce fra le guardie dal mezzo.) RIGOLETTO No, vecchio, t’inganni...un vindice avrai. (Si volge con impeto al ritratto.) Sì, vendetta, tremenda vendetta di quest’anima è solo desio. Di punirti già l’ora s’affretta, che fatale per te suonerà. Come fulmin scagliato da Dio, te colpire il buffone saprà. GILDA O mio padre, qual gioia feroce balenarvi negli occhi vegg’io! RIGOLETTO Vendetta! GILDA Perdonate: a noi pure una voce di perdono dal cielo verrà. RIGOLETTO Vendetta! GILDA Perdonate... RIGOLETTO No! GILDA (fra sé) Mi tradiva, pur l’amo; gran Dio, per l’ingrato ti chiedo pietà! RIGOLETTO Come fulmin scagliato, ecc. GILDA Perdonate, ecc. (Escono dal mezzo.) La sponda destra del Mincio (A sinistra è una casa a due piani, mezzo diroccata, la cui fronte lascia vedere per una grande arcata l’interno d’una rustica osteria al pian terreno, ed una rozza scala che mette al granaio, entro cui, da un balcone senza imposte, si vede un lettuccio. Nella facciata che guarda la strada è una porta che s’apre per di dentro; il muro poi è sì pieno di fessure, che dal di fuori si può facilmente scorgere quanto avviene nell’interno. In fondo, la deserta parte del Mincio, che scorre dietro un parapetto in mezza ruina; di là dal fiume è Mantova. È notte. Gilda e Rigoletto inquieti sono sulla strada, Sparafucile nell’interno dell’osteria) RIGOLETTO E l’ami? GILDA Sempre. RIGOLETTO Pure tempo a guarirne t’ho lasciato. GILDA Io l’amo. RIGOLETTO Povero cor di donna! Ah, il vile infame! Ma ne avrai vendetta, o Gilda. GILDA Pietà, mio padre! RIGOLETTO E se tu certa fossi ch’ei ti tradisse, l’ameresti ancora? GILDA Nol so, ma pur m’adora. RIGOLETTO Egli? GILDA Sì. RIGOLETTO Ebben, osserva dunque. (La conduce presso una delle fessure del muro, ed ella vi guarda.) GILDA Un uomo vedo. RIGOLETTO Per poco attendi. (Il Duca, in assisa di semplice ufficiale di cavalleria, entra nella sala terrena per una porta a sinistra.) GILDA (trasalendo) Ah, padre mio! DUCA (a Sparafucile) Due cose e tosto... SPARAFUCILE Quali? DUCA Una stanza e del vino! RIGOLETTO Son questi i suoi costumi! SPARAFUCILE Oh, il bel zerbino! (Entra nella stanza vicina.) DUCA La donna è mobile qual piuma al vento, muta d’accento e di pensier. Sempre un amabile leggiadro viso, in pianto o in riso è menzognero. La donna è mobile, ecc. È sempre misero chi a lei s’affida, chi le confida mal cauto il cor! Pur mai non sentesi felice appieno chi su quel seno non liba amor! La donna è mobile, ecc. (Sparafucile rientra con una bottiglia di vino e due bicchieri che depone sulla tavola: quindi batte col pomo della sua lunga spada due colpi al soffitto. A quel segnale una ridente giovane, in costume di zingara, scende a salti la scala. Il Duca corre per abbracciarla, ma ella gli sfugge. Frattanto Sparafucile, uscito sulla via, dice a parte a Rigoletto:) SPARAFUCILE È là il vostr’uomo. Viver dee o morire? RIGOLETTO Più tardi tornerò l’opra a compire. (Sparafucile s’allontana dietro la casa verso il fiume.) DUCA Un dì, se ben rammentomi, o bella, t’incontrai... Mi piacque di te chiedere e intesi che qui stai. Or sappi che d’allora sol te quest’alma adora. GILDA (da sé) Iniquo! MADDALENA Ah! Ah!...e vent’altre appresso le scorda forse adesso? Ha un’aria il signorino da vero libertino. DUCA Sì, un mostro son. GILDA Ah, padre mio! MADDALENA Lasciatemi, stordito! DUCA Ah, che fracasso! MADDALENA Stia saggio! DUCA E tu sii docile, non farmi tanto, chiasso. Ogni saggezza chiudesi nel gaudio e nell’amore. (Le prende la mano.) La bella mano candida! MADDALENA Scherzate voi, signore. DUCA No, no. MADDALENA Son brutta. DUCA Abbracciami. GILDA (da sé) Iniquo! MADDALENA Ebbro! DUCA D’amore ardente. MADDALENA Signor l’indifferente, vi piace canzonar? DUCA No, no, ti vo’ sposar... MADDALENA Ne voglio la parola. DUCA (ironico) Amabile figliuola! RIGOLETTO (a Gilda che avrà tutto osservato ed inteso) E non ti basta ancor? GILDA Iniquo traditor! ecc. MADDALENA Ne voglio la parola! ecc. DUCA Amabile figliuola! ecc. RIGOLETTO E non ti basta ancor? ecc. DUCA Bella figlia dell’amore, schiavo son dei vezzi tuoi; con un detto sol tu puoi le mie pene consolar. Vieni e senti del mio core il frequente palpitar. Con un detto, ecc. MADDALENA Ah! ah! rido ben di core, che tai baie costan poco... GILDA Ah, così parlar d’amore... MADDALENA ...quanto valga il vostro gioco, mel credete, so apprezzar. GILDA ...a me l’infame ho udito! RIGOLETTO (a Gilda) Taci, il piangere non vale, ecc. GILDA Infelice cor tradito, per angoscia non scoppiar. MADDALENA Son avvezza, bel signore, ad un simile scherzar, mio bel signor! DUCA Con un detto sol tu puoi le mie pene consolar. GILDA Infelice cor tradito, per angoscia non scoppiar, ecc. MADDALENA Ah! Ah! Rido ben di core! Che tai baie costan poco, ecc. DUCA Bella figlia dell’amore, schiavo son de’ vezzi tuoi, ecc. RIGOLETTO (a Gilda) Ch’ei mentiva sei sicura. Taci, e mia sarà la cura la vendetta d’affrettar. Pronta fia, sarà fatale, io saprollo fulminar, ecc. M’odi! Ritorna a casa. Oro prendi, un destriero, una veste viril che t’apprestai, e per Verona parti. Sarovvi io pur doman. GILDA Or venite... RIGOLETTO Impossibil. GILDA Tremo. RIGOLETTO Va. (Il Duca e Maddalena stanno sempre fra loro parlando, ridendo, bevendo. Partita Gilda, Rigoletto va dietro la casa, e ritorna parlando con Sparafucile e contandogli delle monete.) Venti scudi hai tu detto? Eccone dieci, e dopo l’opra il resto. Ei qui rimane? SPARAFUCILE Sì. RIGOLETTO Alla mezzanotte ritornerò. SPARAFUCILE Non cale; a gettarlo nel fiume basto io solo. RIGOLETTO No, no; il vo’ far io stesso. SPARAFUCILE Sia...il suo nome? RIGOLETTO Vuoi sapere anche il mio? Egli è Delitto, Punizion son io. (Parte; il cielo si oscura e tuona.) SPARAFUCILE La tempesta è vicina! Più scura fia la notte. DUCA Maddalena? (per prenderla) MADDALENA (sfuggendogli) Aspettate...mio fratello viene. DUCA Che importa? MADDALENA Tuona! SPARAFUCILE (entrando) E pioverà tra poco. DUCA Tanto meglio. Tu dormirai in scuderia... all’inferno...ove vorrai. SPARAFUCILE Oh, grazie. MADDALENA (piano al Duca) Ah no!...partite. DUCA (a Maddalena) Con tal tempo? SPARAFUCILE (piano a Maddalena) Son venti scudi d’oro. (al Duca) Ben felice d’offrirvi la mia stanza. Se a voi piace tosto a vederla andiamo. (Prende un lume e s’avvia per la scala.) DUCA Ebben, sono con te...presto, vediamo. (Dice una parola all’orecchio di Maddalena e segue Sparafucile.) MADDALENA Povero giovin!...grazioso tanto! Dio! qual notte è questa! DUCA (giunto al granaio, vedendone il balcone senza imposte.) Si dorme all’aria aperta? Bene, bene. Buona notte. SPARAFUCILE Signor, vi guardi Iddio. DUCA Breve sonno dormiam; stanco son io. (Depone il cappello, la spada e si stende sul letto. Maddalena frattanto siede presso la tavola. Sparafucile beve dalla bottiglia lasciata dal Duca. Rimangono ambedue taciturni per qualche istante, e preoccupati da gravi pensieri.) La donna è mobile, qual piuma al vento, muta d’accento e di pensiero... muta d’accento e di pen... la donna...è mobil...ecc. (s’addormenta) MADDALENA È amabile invero cotal giovinotto. SPARAFUCILE Oh sì...venti scudi ne dà di prodotto. MADDALENA Sol venti!...son pochi! valeva di più. SPARAFUCILE La spada, s’ei dorme, va, portami giù. (Maddalena sale al granaio e contempla il dormente, poi ripara alla meglio il balcone e scende portando con sé la spada. Nel frattempo Gilda comparisce nel fondo della via in costume virile, con stivali e speroni, e lentamente si avanza verso l’osteria, mentre Sparafucile continua a bere. Spessi lampi e tuoni.) GILDA (da sé) Ah, più non ragiono! Amor mi trascina... mio padre, perdono! (tuono) Qual notte d’orrore! Gran Dio, che accadrà? MADDALENA (posata la spada del Duca sulla tavola) Fratello? GILDA (osservando per la fessura) Chi parla? SPARAFUCILE (frugando in un credenzone) Al diavol ten va! MADDALENA Somiglia un Apollo, quel giovane, io l’amo, ei m’ama...riposi... né più l’uccidiamo. GILDA (ascoltando) Oh cielo! SPARAFUCILE (gettandole un sacco) Rattoppa quel sacco! MADDALENA Perché? SPARAFUCILE Entr’esso il tuo Apollo, sgozzato da me, gettar dovrò al fiume. GILDA L’inferno qui vedo! MADDALENA Eppure il denaro salvarti scommetto serbandolo in vita. SPARAFUCILE Difficile il credo. MADDALENA M’ascolta...anzi facil ti svelo un progetto. De’ scudi già dieci dal gobbo ne avesti; venire cogli altri più tardi il vedrai... Uccidilo, e venti... GILDA Che sento! MADDALENA ...allor ne avrai... GILDA Mio padre! MADDALENA ...così tutto il prezzo goder si potrà. SPARAFUCILE Uccider quel gobbo! che diavol dicesti! Un ladro son forse? Son forse un bandito? Qual altro cliente da me fu tradito? Mi paga quest’uomo, fedele m’avrà. MADDALENA Ah, grazia per esso! SPARAFUCILE È d’uopo ch’ei muoia. MADDALENA Fuggire il fo adesso. (Va per salire.) GILDA Oh, buona figliuola! SPARAFUCILE (trattenendola) Gli scudi perdiamo. MADDALENA È ver! SPARAFUCILE Lascia fare. MADDALENA Salvarlo dobbiamo. SPARAFUCILE Se pria ch’abbia il mezzo la notte toccato alcuno qui giunga, per esso morrà. MADDALENA È buia la notte, il ciel troppo irato, nessuno a quest’ora da qui passerà. GILDA Oh, qual tentazione! morir per l’ingrato? Morire!...e mio padre!...Oh cielo, pietà! MADDALENA È buia la notte, ecc. SPARAFUCILE Se pria ch’abbia, ecc. GILDA Oh cielo, pietà, ecc. (Battono le undici e mezzo.) SPARAFUCILE Ancor c’è mezz’ora. MADDALENA (piangendo) Attendi, fratello... GILDA Che! piange tal donna! né a lui darò aita! Ah, s’egli al mio amore divenne rubello, io vo’ per la sua gettar la mia vita. (Picchia alla porta.) MADDALENA Si picchia? SPARAFUCILE Fu il vento. (Gilda torna a bussare.) MADDALENA Si picchia, ti dico. SPARAFUCILE È strano!...Chi è? GILDA Pietà d’un mendico; asil per la notte a lui concedete. MADDALENA Fia lunga tal notte! SPARAFUCILE Alquanto attendete. (Va a cercare nel credenzone.) MADDALENA Su, spicciati, presto, fa l’opra compita: anelo una vita con altra salvar. SPARAFUCILE Ebbene, son pronto; quell’uscio dischiudi, più ch’altro gli scudi mi preme salvar. GILDA (da sé) Ah! presso alla morte, sì giovine sono! Oh ciel, per quegl’empi ti chieggo perdono! Perdona tu, o padre, a quest’infelice! Sia l’uomo felice ch’or vado a salvar. MADDALENA Spicciati, presto, ecc. SPARAFUCILE Bene, son pronto, ecc. MADDALENA Spicciati! SPARAFUCILE Apri! MADDALENA Entrate! GILDA (da sé) Dio! Loro perdonate! MADDALENA, SPARAFUCILE Entrate! (Sparafucile va a postarsi con un pugnale dietro alla porta; Maddalena apre e poi corre a chiudere la grande arcata di fronte, mentre entra Gilda, dietro a cui Sparafucile chiude la porta, e tutto resta sepolto nel silenzio e nel buio.) (Rigoletto solo si avanza chiuso nel suo mantello. La violenza del temporale è diminuita, né più si vede e sente che qualche lampo e tuono.) RIGOLETTO Della vendetta alfin giunge l’istante! Da trenta dì l’aspetto di vivo sangue a lagrime piangendo, sotto la larva del buffon. Quest’uscio.,.. (esaminando la casa) è chiuso!...Ah, non è tempo ancor! S’attenda. Qual notte di mistero! Una tempesta in cielo, in terra un omicidio! Oh, come invero qui grande mi sento! (Suona mezzanotte.) Mezzanotte! SPARAFUCILE (uscendo di casa) Chi è là? RIGOLETTO (per entrare) Son io. SPARAFUCILE Sostate. (Rientra e torna trascinando un sacco.) È qua spento il vostro’uomo. RIGOLETTO Oh gioia!...un lume! SPARAFUCILE Un lume?...No, il denaro. (Rigoletto gli dà una borsa.) Lesti all’onda il gettiam... RIGOLETTO No, basto io solo. SPARAFUCILE Come vi piace. Qui men atto è il sito. Più avanti è più profondo il gorgo. Presto, che alcun non vi sorprenda. Buona notte. (Rientra in casa.) RIGOLETTO Egli è là!...morto! Oh sì...vorrei vederlo! Ma che importa?...è ben desso! Ecco i suoi sproni! Ora mi guarda, o mondo! Quest’è un buffone, ed un potente è questo! Ei sta sotto ai miei piedi! È desso! O gioia! È giunta alfine la tua vendetta, o duolo! Sia l’onda a lui sepolcro, un sacco il suo lenzuolo. All’onda! All’onda! (Fa per trascinare il sacco verso la sponda, quando è sorpreso dalla lontana voce del Duca, che nel fondo attraversa la scena.) DUCA La donna è mobile, ecc. RIGOLETTO Qual voce!...illusion notturna è questa! (trasalendo) No!...No! egli è desso... (verso la casa) Maledizione! Olà...dimon bandito! (Taglia il sacco.) Chi è mai, chi è qui in sua vece? (lampeggia) Io tremo...È umano corpo! Mia figlia!...Dio!...mia figlia! Ah no...è impossibil! Per Verona è in via! (inginocchiandosi) Fu vision...È dessa! O mia Gilda: fanciulla, a me rispondi! L’assassino mi svela...Olà?...Nessuno? (Picchia disperatamente alla porta.) Nessun!... (tornando presso Gilda) Mia figlia? Mia Gilda?...Oh, mia figlia! GILDA Chi mi chiama? RIGOLETTO Ella parla!...si muove!... È viva!...oh Dio! Ah, mio ben solo in terra... Mi guarda...mi conosci... GILDA Ah, padre mio! RIGOLETTO Qual mistero!...Che fu?... Sei tu ferita?...Dimmi... GILDA (indicando al core) L’acciar qui mi piagò. RIGOLETTO Chi t’ha colpita? GILDA V’ho ingannato...colpevole fui... L’amai troppo...ora muoio per lui! RIGOLETTO (da sé) Dio tremendo! Ella stessa fu colta dallo stral di mia giusta vendetta! (a Gilda) Angiol caro! mi guarda, m’ascolta! Parla, parlami, figlia diletta. GILDA Ah, ch’io taccia! a me, a lui perdonate. Benedite alla figlia, o mio padre... Lassù in cielo, vicina alla madre, in eterno per voi pregherò. RIGOLETTO Non morire, mio tesoro, pietade! Mia colomba, lasciarmi non dêi! GILDA Lassù in cielo, ecc. RIGOLETTO Oh, mia figlia! No, lasciarmi non dêi, non morir. Se t’involi, qui sol rimarrei. Non morire, o ch’io teco morrò! GILDA Non più...a lui perdonate. Mio padre...Addio! Lassù in ciel, ecc. RIGOLETTO Oh mia figlia! Oh mia Gilda! No, lasciarmi non dêi, non morir! (Gilda muore.) RIGOLETTO Gilda! mia Gilda!...È morta! Ah, la maledizione! (Strappandosi i capelli, cade sul cadavere della figlia.) FINE |
libretto by Francesco Maria Piave |